Un fotografo lecchese in India per raccontare il raduno religioso più grande del mondo

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L’incredibile esperienza di Luigi Rota al Maha Kumbha Mela che raccoglie centinaia di milioni di fedeli

“E’ stato emozionante e impressionante. Anche stavolta la fotografia si è rivelata una compagna fedele”

LECCO – Un evento talmente unico da apparire quasi surreale quello che ha avuto la fortuna di documentare il fotografo Luigi Rota. Il Maha Kumbha Mela, che si svolge in India ogni 12 anni, è il raduno religioso più grande al mondo. Il reportage del lecchese restituisce la dimensione incredibile del pellegrinaggio di massa hindu, un’usanza a tanti sconosciuta. Le sue immagini, frutto di una buona dose d’esperienza e tanta sensibilità, permettono di immergersi in una dimensione fatta di suggestione, dando quasi l’illusione di poterne sentire profumi e suoni.

“Il Maha Kumbha Mela (letteralmente Grande Kumbha Mela), che si tiene ogni 12 anni, è l’evento religioso più grande al mondo e richiama centinaia di milioni di fedeli da tutta l’India – ha raccontato Luigi Rota -. Quest’anno il raduno è stato ancor più straordinario perché si svolgeva il Kumbha Mela Supremo che cade ogni 12 cicli di Grande Kumbha Mela, perciò ogni 144 anni. Si calcola che oltre 450 milioni di persone sono intervenute alle varie celebrazione tenute in 45 giorni a cavallo tra gennaio e febbraio. Questa infinita massa di persone confluisce a Prayagraj, un villaggio che viene allestito per l’occasione sulle rive del Sangam, dove si incontrano i fiumi Gange, Yamuna e il mitologico Saraswati”.

I fedeli si ritrovano per immergersi nel fiume sacro, questi bagni rituali servono a ottenere il perdono dei propri peccati e permettono di sottrarsi al ciclo della reincarnazione. Si respira un’atmosfera mistica che è impossibile ritrovare altrove, durante i rituali si intuisce un legame con una filosofia ancestrale che affonda le sue radici in una cultura millenaria.

“Bisogna andarci di persona per capire davvero l’entità di questo evento e la quantità di persone condensate in così poco spazio – ha raccontato il fotografo lecchese -. Ovunque si percepiscono la gioia e la devozione delle persone che compiono anche viaggi di giorni o settimane per arrivarci ed è bello vedere quella moltitudine di volti sereni e sorridenti”.

Luigi Rota, come spesso gli accade, è partito nelle vesti di accompagnatore per un viaggio fotografico. Era già stato in India altre volte, ma non si sarebbe immaginato di vivere un mix di emozioni tanto forti tutte in una volta e, soprattutto, gestire un senso di sopraffazione per non smettere di documentare con la sua macchina fotografica.

“Ci siamo ritrovati lì nel giorno principale, il Mauni Amavasya, quando circa 100 milioni di pellegrini confluiscono contemporaneamente sulla vasta spianata sabbiosa di 40 chilometri quadrati in mezzo al nulla. A far da cornice alla marea di persone solo i fiumi sacri e una gigantesca tendopoli, traballante e polverosa, sulla quale troneggiano gli ashram dei guru più influenti”.

Il giorno più importante cadeva il 29 gennaio e Luigi Rota si è trovato in mezzo a una vera e propria onda umana: “Probabilmente nessuno si aspettava una partecipazione tanto numerosa. Nonostante un dispositivo di sicurezza incredibile (circa 40.000 poliziotti incaricati di mantenere l’ordine e gestire la folla, oltre a droni e 2.500 telecamere, alcune alimentate dall’intelligenza artificiale) durante la notte della celebrazione più importante si è verificato un incidente che, abbiamo saputo dopo, ha provocato oltre 40 morti. I ponti che sono il principale collegamento delle sponde del fiume erano stati chiusi dalla polizia, siamo usciti dalle nostre tende attorno alle 23 e siamo rientrai il giorno dopo attorno alle 14, in mezzo abbiamo vissuto una notte infinita”.

Decine di migliaia di pellegrini si sono precipitati verso i corsi d’acqua per immergersi e tanti sono stati travolti e schiacciati. Una calca durata ore che ha lasciato sulla spianata ammassi di abiti, scarpe e borse abbandonate per terra dalla folla in cerca di una via d’uscita. Sono intervenute le ruspe per spostare quelle montagne di abiti e oggetti, in poche ore tutto è stato ripulito senza lasciare traccia e le celebrazioni sono continuate.

“E’ stato impressionante. La fotografia anche questa volta è stata una fedele compagna di avventura: mi permette non solo di documentare, ma anche di interpretare la realtà attraverso occhi diversi. Le fotografie che scattiamo sono riflessi incondizionati di ciò che i nostri occhi e il nostro cuore intercettano; questo porta a un allenamento visivo e stimola ancora di più i nostri sensi, le nostre emozioni. La religione induista è cosi diversa dalla mentalità occidentale; a un primo impatto può essere incomprensibile, sottovalutata o fraintesa. Perché lo fanno? Nei miei viaggi in India ho imparato a non valutare l’apparenza ma cercare di vedere attraverso uno strato più profondo. Ogni volta che scatto fotografie ho la consapevolezza di avere appreso qualcosa in più, come se la fotografia mi permettesse di avvicinarmi maggiormente alle persone e alla loro cultura. Spesso mi emoziono proprio nell’istante esatto in cui scatto la fotografia perché capisco di aver catturato qualcosa. Quando premo il pulsante sento una piccola “scarica elettrica” che attraversa il mio braccio per arrivare al cuore”.