Imbersago: scuola e crisi dell’Occidente nell’incontro con il professor Galimberti

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Gremita la mediateca di Imbersago per l’incontro con il professor Galimberti

Si è parlato di giovani e della crisi del mondo contemporaneo

IMBERSAGO – Mediateca comunale gremita venerdì sera per l’incontro con il filosofo Umberto Galimberti, di nuovo in Brianza dopo la conferenza da tutto esaurito promossa dall’associazione Dietro la lavagna alcune settimane fa al Teatro Manzoni di Merate.

La serata, con a tema i giovani di fronte alla crisi del mondo contemporaneo, è stata introdotta dai brevi saluti del sindaco Fabio Vergani e del consigliere Francesco Cagliani che ha spiegato come la conferenza sia stata resa possibile grazie alla collaborazione con Filippo Giovanni Maffeis, counselor e business coach.

Umberto Galimberti e Francesco Cagliani

In piedi con alle spalle una lavagna, Galimberti ha sviscerato per un’ora abbondante il tema a lui molto caro, parlando della crisi del cristianesimo e del mondo contemporaneo (legati a stretto giro l’uno all’altro), già trattata anni fa nel volume “Il tramonto dell’Occidente nella lettura di Heidegger e Jasper” stampato nel 1975.

“Siamo ormai entrati da tempo nell’età del nichilismo. Il che vuol dire che ai nostri ragazzi manca lo scopo e il futuro non è più una promessa e manca anche la risposta ai perché. Tutti i valori, che sia chiaro, sono coefficienti sociali per vivere in comunità, si svalutano e l’alcool e la droga diventano degli anestetici con cui fronteggiare l’angoscia di guardare avanti”.
Un quadro desolante, fatto di suicidi, gesti di autolesionismo e casi di anoressia in crescita. “La condizione giovanile è ridotta così non perché non ci sono più i valori di una volta, ma perché non c’è futuro”.

Una prospettiva che impone a tutti di interrogarsi su come è costruita la società contemporanea e come si guarda alla formazione e all’educazione dei più piccoli. “Freud dice che nei primi sei anni di vita si formano, definitivamente, le mappe cognitive ed emotive dei bambini. Le neuroscienze riducono ulteriormente il campo ai primi tre anni di vita, fondamentali quindi per il futuro del bambino”.
Riprendendo molte delle argomentazioni già sviluppate durante l’incontro a Merate, Galimberti ha evidenziato come l’identità sia un dono sociale, basato sul riconoscimento o sul disconoscimento che abbiamo dagli altri. “Oggi abbiamo genitori che non parlano con i bambini, che si interessano di loro a livello fisico, ma non a livello emozionale. Chi forma l’identità dei piccoli? I cartoni animati? La baby sitter? Vedo case piene di giocattoli e questa è una pazzia perché così si uccide il desiderio, che vive di mancanza”.
Un’ulteriore ferita mortale allo sviluppo del bambino viene inferta dalla “moda” di parlare male delle maestre e degli insegnanti. “Si produce così una ferita all’affettività del bambino che con la maestra produce la prima differenziazione affettiva. Con la conseguenza che, nel migliore dei casi, il bimbo non si fida più né dei genitori né degli insegnanti”.

Già, gli insegnanti, altra categoria posta nel mirino, insieme a tutto il sistema scuola dal grande filosofo: “Ormai la scuola non educa più, al massimo istruisce. Solo alla primaria troviamo ancora un briciolo di educazione”. Altro tema toccato quello dell’eccessivo spazio data alla psichiatria nelle scuole, con l’aumento di certificazioni (tema trattato dal pedagogista Daniele Novara nel ciclo di incontro di Dietro la lavagna). “Ma siamo sicuri che siano sempre necessari e che non possa bastare un po’ di esercizio in più? Purtroppo il problema, per insegnanti e genitori, è non fare fatica”. Per Galimberti sarebbe necessario una rimodulazione complessiva del sistema scolastico con colloqui attitudinali rivolti ai docenti per verificare il grado di empatia e l’abolizione del ruolo per evitare di non poter rimuovere insegnanti anche di fronte alla loro incapacità di insegnare.

Solo in questo modo la scuola italiana pubblica potrebbe tornare ad avere una leadership scalfita sempre più dagli istituti privati, assolutamente più snelli e capaci di far funzionare le cose.
Correndo sempre sul filo dell’ironia, in un monologo apparso dai toni più confidenziali rispetto a quello meratese e in cui non sono mancate mitragliate ai partiti di destra, rei di parlare alla pancia delle persone, Galimberti ha chiuso con un monito alla società occidentale destinata a diventare sempre più vecchie e perciò incapace di portare idee, vitalità e nuova linfa. “Guardare che nella storia vince la biologia” ha concluso, riallacciandosi ai flussi migratori, quanto mai attuali in questi giorni. Al termine, il professore si è poi fermato in sala per firmare gli autografi sulle copie dei libri in vendita.