Olginate: i “Bohémiens” animano il Convento di S. Maria la Vite

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OLGINATE – Lo scorso fine settimana il Convento di Santa Maria la Vite in Olginate, ha ospitato, con il contributo del Comune di Olginate e il patrocinio della Provincia di Lecco, la prima (con replica) dello spettacolo “Bohémiens” curato dall’Associazione Culturale “Il Melabò”, diretto e interpretato dal regista-attore Fabio Alessandrini. Un viaggio poetico-musicale fra Chat Noir parigini e Scapigliatura milanese, sullo sfondo ottocentesco di Francia e Italia fin de siecle.

Accanto al regista e attore italo-francese: la cantattrice Frédérique Caillon-Cristofani, il soprano Daniela De Francesco, il pianista Roberto Fumagalli. Costumi di Cinzia Mascheroni; luci bsound.

Lo spettacolo ha proposto, in una successione fluida e dal ritmo incalzante, le canzoni in francese del celebre locale Chat Noir, le arie liriche e i canti popolari nostrani dell’epoca scapigliata, alternati alla poesia e a momenti di pura comicità cabarettistica. Il tutto in una comicità dalle tinte tragicomiche, arricchita dalla commistione della lingua italiana e di quella d’oltralpe, in un gioco di rimandi tra la società dell’epoca e il nostro tempo.

La scommessa non facile di “Bohémiens”, che vede un confronto tra due movimenti culturali apparentemente lontani tra loro (per distanza geografica, per “ambienti” sociali politici e culturali diversi), è decisamente riuscita. Alla precarietà degli artisti della società dell’epoca, ai loro interrogativi sul futuro della Francia, dell’Italia e dell’Europa, fanno da eco, nella pièce, la vulnerabilità e l’effimero, quel senso del provvisorio che caratterizza da qualche tempo la nostra società attuale: oggi, per citare lo spettacolo, siamo tutti precari, siamo tutti bohémiens!

Il regista Fabio Alessandrini ha così potuto parlare della regia di questo spettacolo da lui costruita a partire da un testo drammaturgico frutto della collaborazione fra il critico letterario Giuseppe Leone, Frédérique Caillon-Cristofani e il critico musicale Roberto Zambonini: “Ho tentato di liberare la forza della parola dalle briglie della pagina, di creare relazioni forti sulla scena fra i mille personaggi evocati nello spettacolo. La parola si fa corpo non solo perché detta, ma perché trasformata costantemente in azione teatrale”.

E alla domanda relativa alle scelte operate per conciliare gli aspetti comici con quelli fortemente tragici – come la guerra, la fame, la precarietà, l’ingiustizia – il regista ha risposto: “Nel mio lavoro, tento sempre di proporre l’esigenza e la qualità attraverso codici semplici, leggibili, che leghino armoniosamente il tragico e il comico. Lo spazio scenico è come un giardino meraviglioso dove tempo e spazio si annullano e tutto può accadere, dove profumi come riflessione, coscienza, riso e sogno possono essere finalmente assaporati”.