“Occidente Solitario”: risate amare e applausi per Santamaria e Nigro

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LECCO – Dopo Beckett e Shakespeare un testo contemporaneo all’interno del cartellone Teatro d’Autore, ben rappresentato ieri sera sul palcoscenico del Teatro della Società dalla coppia Santamaria e Nigro. L’adattamento del regista Juan Diego Puerta Lopez di “Occidente solitario” di Martin McDonagh sembra aver convinto buona parte del pubblico lecchese, che per circa due ore ha seguito con partecipazione le vicende dei due fratelli protagonisti del testo, gli irlandesi Coleman e Valene.

Un antagonismo costante, quello tra i due, fatto di botte, lotte e insulti continui e messo molto credibilmente in scena sul palco da due giovani attori italiani, Claudio Santamaria e Filippo Nigro. Già famosi per avere interpretato film di registi come Gabriele Muccino e Ferzan Özpetek, i due si sono, infatti, ben calati nelle parti rispettivamente dell’iroso Coleman e del patologicamente possessivo Valene, che in modo quasi maniacale colleziona statuine di santi e segna con la sua iniziale tutti gli oggetti della casa che gli appartengono.

Battibecchi pungenti, espressioni scurrili, frasi talvolta infantili e scorrette da un punto di vista grammaticale, insulti e volgarità danno quindi vita a una commedia che si potrebbe definire noir, fatta di personaggi stravaganti e spesso deliranti, ma che non mancano di generare le risate, talvolta amare, del pubblico e, forse, un’affettuosa simpatia per Valene, il più sempliciotto dei due.

Intorno agli attori una scenografia che ricrea l’interno di un’abitazione semplice: un tavolo con due sedie, una poltrona, un paio di credenze, un forno rosso appena comprato da Valene e che solo lui può usare e, chiaramente, tante statuette di Maria, di tutte le dimensioni possibili. Questa, sin da subito, la scena sul palco, che sarà mantenuta per quasi tutto lo spettacolo.

Accanto ai fratelli il parroco del paese, tale padre Welsh (interpretato da Massimo De Santis) , visibilmente afflitto dalle continue e violente liti tra i due e da alcune vicende di sangue che hanno avuto luogo proprio in questa ignota parte dell’Irlanda. Sarà questo stesso prete, talmente infelice da optare per il gesto estremo, a indurre Coleman e Valese a una sorta di confessione dei torti commessi nel corso della loro vita l’uno nei confronti dell’altro. Una lettera lasciata a Ragazzina (liceale che vende whisky di contrabbando, interpretata da Azzurra Antonacci) poco prima di suicidarsi e destinata ai suoi due amici li indurrà a fermarsi un attimo per riflettere. “La mia anima è nelle vostre mani”, queste le parole di padre Welsh. Un monito, quindi, che li porterà a una confessione che progressivamente sfocerà in ulteriore violenza e distruzione ma che lascia aperta, proprio sul finale, una sorta di speranza.

Un momento prima sul punto di ammazzarsi a vicenda, nell’epilogo dello spettacolo i due si separano: Coleman esce proponendo di “andare a bere qualcosa” e Valene, solo in mezzo ai resti del forno rotto e delle statuine spaccate dall’altro, brucia una parte della lettera di Welsh e in seguito la appende nuovamente alla parete, uscendo di casa senza coltello o fucile e dicendo: “però la birra non gliela pago”.

Ben riuscita, oltre ai dialoghi tra i due protagonisti, la scena che precede il suicidio di padre Welsh: seduto ai bordi lago, l’infelice recita la lettera scritta per Coleman e Valene mentre, poco alla volta, si toglie scarpe, calze e abito talare, lasciando intuire ciò che di lì a poco accadrà.

Parlando dello spettacolo, il regista Juan Diego Puerta Lopez ha affermato: “la crudeltà si sottrae alla morale e si manifesta come gioco, ritmo, energia e se i personaggi aprono bocca è per insultare, rivendicare o compiangersi. La giusta chiave di lettura di questo testo ce l’ha indicata Samuel Beckett quando ha affermato: Non c’è niente di più comico dell’infelicità”.

Il prossimo appuntamento con il Teatro d’Autore è previsto per venerdì 8 febbraio, quando sul palcoscenico del Teatro della Società salirà Silvio Orlando con “Il nipote di Rameau”, di Denis Diderot.