Di seguito pubblichiamo integralmente il testo dell’intervento del ministro dell’istruzione Francesco Profumo durante la sua visita a Lecco:
“Desidero ringraziare il Presidente Valassi per l’invito a partecipare a questa visita nel territorio della provincia di Lecco. Mi ha permesso di vedere da vicino l’impegno che le imprese e tutto il sistema sociale e produttivo stanno mettendo per uscire da una situazione difficile e per rilanciare le eccellenze che da sempre riguardano la provincia di Lecco e il suo bacino industriale. Vorrei complimentarmi per le numerose iniziative che sono state avviate e che anche il Presidente ha da poco richiamato. Un saluto e un ringraziamento, infine, a tutti coloro che sono presenti, e al personale del Campus e del CNR IENI che mi hanno accompagnato nelle loro strutture. L’economia del nostro Paese sta attraversando un periodo di grande difficoltà. Tuttavia io sono ottimista per natura e per la professione che faccio. E’ vero il nostro pil nel 2012 potrebbe girare in negativo, ma le stime per il 2013-2014 segnalano progressi positivi. Le manovre finanziarie impegnative, ma necessarie, che l’Italia ha dovuto fare dalla fine del 2011, ci dicono che stiamo andando nella giusta direzione, perché nel 2013 il rapporto deficit/pil — nostro vero tallone d’Achille — sarà in pareggio. Ora il governo sta passando alla “fase due”, che vede me e il Ministero che ho l’onore di guidare direttamente impegnati, per stimolare la crescita grazie a corposi interventi sul tema innovazione e ricerca.
Le parole d’ordine che l’Ing. Valassi ha evocato mi sembrano significative, e sono quelle su cui stiamo investendo: capitale umano, formazione, ricerca. La strada è quella del cambiamento strutturale del nostro sistema economico, tornando a presidiare settori ad alta tecnologia e ad elevato valore aggiunto, con imprese di dimensione adeguata e ricche di conoscenza e talenti. Lungo questa strada, sappiamo di poter contare sull’alleato più importante, un sistema della ricerca e della formazione ancora capace di esprimere qualità ed eccellenza, ma che adesso ha bisogno di modernizzarsi e di un maggiore legame con il mondo delle imprese. Dobbiamo esprimere una visione strategica ampia e di medio periodo, con la quale ridisegnare le modalità di relazione tra ricerca, formazione e sistema delle imprese.
Nella costruzione di tale visione strategica, dobbiamo riconoscere nella ricerca di un più virtuoso rapporto con le nuove politiche europee, definite dalla strategia denominata Horizon 2020, un elemento centrale e fondante. L’obiettivo non è solo quello di accedere con maggiore efficacia alle risorse finanziarie che la Commissione Europea mette a disposizione, per riportare almeno in pareggio il saldo tra contribuzione e utilizzo, ma anche quello di aprire il nostro sistema agli stimoli ed agli incentivi della competizione internazionale. Va aumentata la competitività dei ricercatori e delle imprese italiane nell’accesso ai fondi messi a disposizione della Commissione e migliorata l’integrazione tra utilizzo di tali fondi e i fondi strutturali. A fronte di un contributo totale al finanziamento del VII Programma Quadro pari al 14%, l’Italia ha sfruttato solo l’8% circa; e anche sulle politiche di coesione il nostro Paese è al penultimo posto, davanti alla Romania. Il nostro sistema deve individuare rapidamente gli asset su cui fare leva e i partenariati strategici da favorire nel quadro dell’ “Innovation Union” prevista dal documento Europa 2020. Ciò comporta una nuova centralità delle politiche per la ricerca e l’innovazione nelle scelte di governo ed insieme una più incisiva presenza del nostro Paese nelle politiche Europee in materia di ricerca e innovazione. Siamo alla vigilia di iniziative di enorme importanza, come sottolineato dal Presidente Barroso in occasione del suo intervento di presentazione di Europa 2020 di fronte al Consiglio dell’Unione Europea nel febbraio scorso. Il nuovo brevetto unico europeo, la velocizzazione dei processi di standardizzazione tecnologica, un nuovo programma di sostegno al venture capital su scala europea, la modernizzazione degli schemi di procurement pubblico dell’innovazione, la realizzazione del mercato unico della conoscenza attraverso la European Research Area e soprattutto il grande programma Horizon 2020 su cui la Commissione Europea propone un investimento di 80 bilioni di Euro. Quindi dobbiamo allenarci per competere.
Abbiamo spesso invocato la peculiarità della struttura industriale del nostro Paese come giustificazione allo scarso investimento in ricerca, in particolare di fonte privata. E’ tempo di trasformare questa riflessione in una proposta concreta, affinché i programmi europei sostengano in modo efficace la ricerca delle piccole e medie imprese, che rappresentano il 99% del tessuto industriale europeo. È giusta la strada di sostenere ricerca e innovazione con strumenti separati — il Programma Quadro per la ricerca, Programma per la Competitivitá e l’innovazione — o non sarebbe forse più utile alle nostre imprese uno strumento di programmazione che sostenga ricerca e innovazione congiuntamente, così come connaturato al modello innovativo prevalente delle imprese italiane? A seguito dell’introduzione del “Lisbon earmarking” i fondi strutturali sono diventati la maggior fonte di finanziamento a sostegno della ricerca ed innovazione. Per il 2013-2020 la politica di coesione nell’Europa a 27 non vedrá piú l’Italia tra i suoi principali beneficiari. La riduzione dei fondi strutturali dovrà essere affrontata, soprattutto su scala regionale, con la ricerca di un’efficienza molto superiore a quella registrata nei passati periodi di programmazione, sia in termini di capacità di spesa sia in termini di impatto degli interventi. Gli assi su cui lavorare sono molteplici. o Le Regioni sono invitate a cercare una propria vocazione, una propria “smart specialization” che rappresenti il driver dello sviluppo regionale. Dobbiamo in primo luogo accompagnare le nostre Regioni nella ricerca della loro Smart Specialization; o gli stati membri sono invece chiamati a programmare congiuntamente programmi di supporto alla ricerca e all’innovazione mirati a risolvere le grandi sfide identificate nel quadro dell’iniziativa “Innovation Union”. E’ importante che il nostro sistema individui rapidamente gli asset su cui fare leva, le linee di ricerca su cui investire prioritariamente e i partenariati strategici da favorire nel quadro della cooperazione internazionale per la ricerca e la tecnologia. Pensiamo solo che la parte italiana Prin può valere 1,6 miliardi l’anno: si tratta perciò di creare team di progetto in grado di interagire al meglio. Inoltre dopo le call sui fondi Pon, nel 2012 avvieremo call per il Centro Nord con 700 milioni come fondo rotativo; o l’Italia deve prioritariamente semplificare e linearizzare i processi decisionali ed i flussi finanziari tra vari livelli di Governo, sia a livello di governance orizzontale che verticale; o la tradizionale strumentazione, largamente basata su finanza agevolata e contributi a fondo perduto a pioggia, con cui le pubbliche amministrazioni hanno utilizzato le dotazioni finanziarie provenienti dall’Europa attraverso i fondi strutturali, è ormai obsoleta, oltre ad aver prodotto, come mostrano numerosi studi, pochissimi risultati addizionali. E’ importante assecondare l’indirizzo strategico che ci viene dalla Commissione Europea volto ad incrementare l’utilizzo di strumenti finanziari basati sull’investimento di rischio nelle imprese, ad esempio attraverso i fondi della Banca Europea e degli Investimenti e del Fondo Europeo degli Investimenti; o E’ molto importante che le Regioni avviino immediatamente la programmazione dei fondi 2014-2020, perché la prossima generazione di fondi strutturali sarà meno intermediata in modo automatico dalle Regioni, ma le stesse Regioni dovranno dimostrare credibilmente di avere iniziative specifiche e programmazioni solide per poter accedere ai fondi. Tra l’altro, la prossima programmazione dovrà tenere conto, nella distribuzione dei fondi strutturali, anche della capacità di spesa storica. Come indicato nel rapporto Aho, successivo all’incontro del capi di Stato Europei ad Hampton Court all’inizio del 2006, è necessario dare sempre maggior peso alle politiche della domanda. E’ stato recentemente ricordato nell’incontro della Fondazione COTEC Europa a Genova, che è di fondamentale importanza l’introduzione sistematica della pratica del public procurement dell’innovazione o del procurement precommerciale. Ciò significa in sostanza che la PA innova le proprie procedure di appalto diventando acquirente non di beni e servizi già esistenti ma di soluzioni innovative a problemi specifici che ancora devono essere realizzate. In questo modo si spingono le imprese del territorio ad innovare i propri prodotti e servizi, consolidando nuove competenze e capacità innovative che esse potranno poi mettere a frutto sui mercati internazionali. L’intuizione politica è che, poiché gli appalti pubblici rappresentano il 19,4% del PIL europeo (circa il 17% di quello nazionale e regionale), indirizzando anche una piccola parte di questa spesa ad appalti “intelligenti” è possibile mobilitare una grande massa di risorse al servizio delle politiche per la competitività, senza impegni aggiuntivi da parte della pubblica amministrazione. Inoltre, nell’alveo delle politiche della domanda sono cruciali le lead market initiatives volute dalla Commissione Europea per creare nuovi mercati per l’innovazione attraverso l’intervento normativo ed un nuovo modello di laboratorio, aperto, con pareti mobili ed in vivo, per favorire la contaminazione delle esperienze dei saperi e l’incorporazione dal basso dei bisogni degli utenti come fonte di innovazione e creatività, i cosiddetti living labs. L’approccio organico contenuto nella strategia Europa 2020, prevede lo sviluppo di sinergie e azioni combinate tra attori del mondo della ricerca, dell’innovazione e dell’educazione. Nella comunicazione “Innovation Union”, la Commissione ha indicato nelle “Alleanze della conoscenza” lo strumento con cui favorire la collaborazione università-impresa riconoscendo la centralità dei processi educativi nelle dinamiche di sviluppo locale. Tale impostazione è alla radice dei processi di modernizzazione dell’Università italiana, ancora poco strutturata in particolare nella valorizzazione del rapporto tra studenti, innovazione e nuova imprenditorialità. Dobbiamo chiederci prioritariamente cosa possiamo fare per migliorare i nostri processi formativi nell’ottica di un miglior sostegno all’imprenditorialità.
Le aree metropolitane rappresentano sempre più un laboratorio a cielo aperto: qui si concentrano persone, strumenti connessi, bisogni, capacità creative, talenti e nuove povertà. La sfida è la costruzione di un nuovo genere di bene comune, una grande infrastruttura tecnologica e immateriale che faccia dialogare persone e oggetti, integrando informazioni e generando intelligenza, producendo inclusione e migliorando il nostro vivere quotidiano. Il grande programma Smart City, che metterà a disposizione delle città europee ingentissime risorse nei prossimi anni costituisce da un lato una fondamentale fonte di sostegno finanziario, dall’altro un’occasione irripetibile per costruire una nuove visone strategica del futuro delle nostre città ed offrire agli investitori privati una prospettiva credibile e stabile nel medio periodo. Per questa ragione auspico, che le città italiane siano accompagnate in un grande sforzo corale dal Governo, sia nella costruzione, su scala nazionale, del sistema di competenze abilitanti per la realizzazione del modello di smart city sia soprattutto nel tentativo di cogliere al massimo le possibilità offerte dalla Commissione Europea su questo tema.
Sulla visione della Smart City ritengo debba anche fondarsi la volontà del sistema scientifico e tecnologico di indirizzare le proprie capacità di ricerca e innovazione alle grandi sfide sociali che ci investono con forza sempre maggiore: la riduzione delle emissioni attraverso le tecnologie pulite, le infrastrutture intelligenti per la mobilità, la realizzazione di modelli urbani e di abitazione più sostenibili, una sanità più efficiente, un welfare equo e tecnologico per la società che invecchia e per le persone in condizioni di disagio. Raccogliendo le nostre migliori forze attorno a questa visione coglieremo una serie di obiettivi vitali per il Paese.
In un contesto di risorse scarse, dobbiamo pensare a una loro reingegnerizzazione, evitando sprechi e inefficienze. Nessuna opportunità deve essere sprecata per mancanza di semplificazione o per incapacità di mettere in atto pratiche di buona amministrazione o regolamentazione. Tra queste, ad esempio: o le procedure di ingresso e di permanenza nel nostro Paese di ricercatori di altre nazioni, spesso inutilmente complesse; o le regole giuridiche e contabili che determinano la possibilità, per un’istituzione pubblica ricerca, di reclutare giovani talenti; o la stabilità nella programmazione delle risorse e nella definizione delle regole di competizione; o un radicale processo di semplificazione e dematerializzazione delle procedure amministrative; o qualificare gli strumenti di progettazione e gestione delle politiche e dei finanziamenti a livello centrale e regionale, attraverso l’utilizzo di metodi e strumenti coerenti con le migliori pratiche internazionali.
Questi sono solo alcuni degli spunti di riflessione che compongono un ben più ampio quadro di criticità e di relativi interventi con cui dovremo confrontarci nei prossimi anni. Il successo con cui sapremo affrontare queste sfide dipende strettamente dalla nostra capacità di porre al centro della nostra agenda la politica per la ricerca e l’innovazione, non solo in stretta sinergia e integrazione con le politiche europee ma anche con la precisa volontà di incidere profondamente nella programmazione delle risorse e delle linee di indirizzo strategico. Il tempo che ci rimane non è molto, ma abbiamo ancora spazi importanti di intervento per il futuro del Paese. Insieme possiamo riportare l’Italia e i nostri territori ai posti che meritano, in Europa e nel mondo. Grazie”.