La giornata ‘Sicuri nella neve’ è nazionale, ma qui nel lecchese arriva chi la volle: Enrico Volpe che perse la moglie Patrizia proprio sotto una valanga.
Oggi domenica sarà ai piani di Bobbio a insegnare la prevenzione e il comportamento migliore in caso della disgraziata eventualità di essere investiti.
Con lui ci sarà Fabio Lenti, la guida alpina di Lecco che subito – dieci anni fa – appoggiò e diede una mano per far diventare la manifestazione quella che è oggi, gestita dal Soccorso alpino e da quest’anno organizzata insieme al Cai.
Mentre in Europa, dalla Germania alla Francia e la Svizzera, l’escursionista invernale non si avventura sulla neve senza un dispositivo Arva, uno zaino con airbag o una placca Recco, qui in Italia l’essere attrezzati per il peggio non è piuttosto rari.
Soprattutto i ciaspolatori dovrebbero pensarci, perché le racchette non si staccano dagli scarponi come gli sci e alla stregua di zavorre fanno affondare dentro alla valanga.
Che sia per lo sci alpino o un’escursione, non uscire mai da soli. Ognuno abbia acceso l’Arva, uno strumento di localizzazione capace sia di emettere un segnale sia di captarlo. Ognuno porti una pala per estrarre i compagni e una sonda per stabilire esattamente dove scavare.
“L’autosoccorso è il metodo con la migliore probabilità di sopravvivenza” spiega Fabio Lenti. Meglio essere tirati fuori entro cinque minuti, dopo 9 con la neve in bocca è già tardi.
Chi si trova nelle condizioni di dissotterrare una persona deve porre attenzione a non calpestarla. “S’inizia a scavare – prosegue Lenti – appena all’esterno della zona segnalata dallo strumento. Meglio essere allo stesso livello o a valle, così se il coinvolto è ferito sarà possibile estrarlo con minori danni”.
Quando interviene il soccorso alpino (difficilmente prima di un quarto d’ora) la presenza di un qualsiasi oggetto elettronico: un orologio, un cellulare, una placca basta per localizzare la persona con l’uso degli apparecchi Recco.
L’ultima novità in termini di sicurezza, gli zaini airbag, si gonfiano lateralmente. La superficie diventa maggiore superficie favorendo il galleggiamento sulla valanga. E anche il collo viene protetto.
Poiché l’importante in questa situazione, come in acqua, è ‘nuotare’: i movimenti da fare sono gli stessi con le braccia e le gambe pur di mantenersi in superficie. “Quando poi si sente che la valanga si sta fermando mettere le mani a cucchiaio davanti alla bocca per ricavare una camera d’aria che ci garantisca la sopravvivenza almeno per una ventina di minuti” conclude la guida alpina, che peraltro è uno dei volontari del soccorso alpino della XIX delegazione lariana.