Epatite e nuovi farmaci: importante studio degli esperti lecchesi

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LECCO – Pubblicato, sulla rivista scientifica americana Plos One che raccoglie i contributi internazionali più innovativi in campo medico, un articolo relativo ad uno studio, condotto in collaborazione con l’Università degli Studi di Milano, coordinato dalla Struttura di Medicina dell’ASST di Lecco, che ha interessato anche i reparti di Malattie Infettive e Medicina Trasfusionale.

Lo studio pubblicato dagli specialisti dell’Azienda lecchese, che ha visto il coinvolgimento di oltre 700 pazienti e 1000 donatori, riguarda l’indicazione al trattamento con i nuovi farmaci antivirali per l’Epatite C.
“Secondo le indicazioni ministeriali – spiega Agostino Colli, Primario della Medicina dell’ASST di Lecco – con i nuovi farmaci antivirali per l’epatite C possono essere trattati solo i pazienti con malattia avanzata, cioè i più gravi, affetti da cirrosi o fibrosi severa dimostrati da biopsia epatica o dalla metodica diagnostica Fibroscan”.

Nello studio, gli specialisti dell’ASST di Lecco hanno definito dei modelli per ricalcolare, tenendo conto anche del possibile beneficio della terapia, il valore registrato dallo Fibroscan che suggerisce il trattamento a cui sottoporre i pazienti.
“Oggi – puntualizza Agostino Colli – la terapia antivirale contro l’Epatite C è molto efficace e sicura: sono infatti minimi gli eventi avversi e potrebbe essere quindi indicata, e consigliata, anche nel caso si volesse trattare solo i pazienti più gravi che registrano anche valori di Fibroscan più bassi di quelli previsti dal ministero. Invece, nel caso si decidesse di trattare anche le forma lievi, la valutazione della fibrosi con Fibroscan sarebbe del tutto superflua”.

Il dott. Agostino Colli
Il dott. Agostino Colli

Anche l’attività di ricerca indipendente svolta dal Centro di Ematologia dell’ASST di Lecco ha portato alla pubblicazione di un ulteriore studio sul Journal of Hepatology, nota rivista internazionale che diffonde ricerche cliniche e di base nel campo della epatologia.

Il lavoro dei medici e degli specialisti lecchesi, condotto con la collaborazione dell’Università di Cambridge, mette in evidenza come le attuali misure adottate in Italia per lo screening dell’Epatite B siano insufficienti a coprire il rischio di trasmissione dell’infezione attraverso la trasfusione. In particolare, la recente introduzione del test di HBV DNA (che misura la quantità di virus presenti nel sangue) sembra inadeguata a coprire il rischio legato alla trasmissione del virus da parte di donatori di sangue che sono entrati in contatto con il virus, che sono guariti sul piano clinico, che hanno eliminato l’antigene HBsAg, ma che restano portatori di bassissime concentrazioni di virus circolante (le cosiddette infezione occulte da Epatite B).

In ogni caso, questo rischio residuo potrebbe essere rapidamente ridotto attraverso l’introduzione, su tutto il territorio nazionale, di un test sierologico aggiuntivo (anti-HBc) o quantomeno di un test molecolare più sensibile.

“Si tratta di un lavoro che ha richiesto diversi anni, ed è stato possibile arrivare alla sua stesura grazie ad una raccolta prospettica di campioni di coppie donatori/riceventi finanziata, negli scorsi anni, da un progetto del VI Framework Program della Comunità Europea. L’unicità di questo progetto ci ha permesso per la prima volta di documentare, a livello molecolare, la trasmissione virale da donatori con infezione occulta ai riceventi” spiega il Primario della Medicina Trasfusionale ed Ematologia dell’ASST di Lecco, Daniele Prati.

Il lavoro in sé sottolinea che la trasfusione di sangue, per quanto abbia raggiunto livelli di sicurezza molto elevati, mantiene tuttora un certo rischio infettivo.  Vale la pena sottolineare che i risultati di questo studio sono stati tenuti in conto nella revisione delle procedure di screening su tutto il territorio della Lombardia.