L’europarlamentare, coordinatore di Forza Italia in Lombardia, sarà ospite a Lecco della serata organizzata dal Circolo delle Imprese Lecco
LECCO – Guerra in Ucraina, questione energetica e import – export, sono questi i temi caldi che abbiamo affrontato con l’onorevole Massimiliano Salini, Europarlamentare e coordinatore di Forza Italia in Lombardia, in un’intervista esclusiva che ci ha rilasciato, anticipando l’incontro lecchese della prossima settimana, che lo vedrà ospite della serata in programma venerdì 25 marzo, organizzata dal Circolo delle Imprese Lecco, collocata all’interno della rassegna: “Il Circolo in Fabbrica: alla scoperta della manifattura italiana”. (maggiori info: info@circolodelleimprese.it).
Onorevole Salini, alla luce dell’attuale guerra in Ucraina, secondo lei quali limiti dell’Unione Europea e della Nato sono stati messi in evidenza? Se ci sono stati.
“L’aspetto positivo è che l’Unione europea ha risposto alla crisi in modo compatto e, per certi versi, quasi sorprendente, dando vita in pochi giorni ad iniziative politiche forti e condivise che avrebbe dovuto avviare anni fa. E qui veniamo al limite principale, una sintesi di debolezze strategiche. Le tensioni con la Russia evidenziano infatti l’estrema fragilità dell’Unione europea in molti settori chiave. L’Europa non ha autonomia energetica, dipende quasi al 50% dalla Russia, né è dotata di una politica estera e di difesa comune. Per quanto riguarda la Nato, invece, sta affrontando l’emergenza in modo appropriato, muovendosi in modo corale e responsabile. Probabilmente, nell’allargamento a Est, da parte dell’Alleanza atlantica è mancata una valutazione approfondita dei rischi connaturati a determinare scelte e aperture”.
In base al suo pensiero, per quali ragioni Putin ha deciso di attaccare l’Ucraina proprio adesso? Considerato che c’erano già da anni tensioni tra i due Paesi.
“All’invio degli anni Duemila Putin sembrava addirittura propenso a far entrare la Russia nella Nato. Credo che l’errore più grande dei leader, occidentali e non, sia stato non seguire la strada indicata dal presidente Berlusconi, che a pratica di Mare mise allo stesso tavolo Putin e Bush. Non si è lavorato abbastanza affinché quei segnali portassero a scelte concrete e positive. Per quanto riguarda l’aggressione all’Ucraina, osservando quel che sta accadendo, l’impressione è che si tratti di una mossa pianificata da tempo, probabilmente solo rimandata per ragioni difficili da stabilire. Non ultima, forse, la pandemia. Di sicuro Putin ha sbagliato: l’aggressione a Kiev va condannata con forza. L’utilizzo della guerra e della violenza per raggiungere i propri obiettivi è inaccettabile”.
L’Europa, se la situazione dovesse ulteriormente precipitare, rischierebbe di ricoprire il ruolo di pedina tra Russia e Stati Uniti? Oppure lo è sempre stata o lo è già diventata?
“Per troppo tempo l’Europa si è illusa che fosse sufficiente creare il mercato unico più grande e prospero del mondo per custodire una pace raggiunta dai nostri padri a prezzo del sangue al termine della Seconda guerra mondiale. Fallito il progetto di una vera unità politica e di una costituzione europea, si è immaginato a torto che bastasse la condivisione di regole economiche per giocare un ruolo pari a quello di Stati Uniti e Cina sulla scena internazionale. La storia si è incaricata di indicare la necessità di un cambio di rotta. Ora è più che mai urgente fare scelte chiare, a partire dall’alleanza con gli Usa e dalla salda collocazione nella tradizione occidentale. Inoltre l’autonomia strategica non deve restare lettera morta. Ne va della sopravvivenza stessa del tessuto socio-economico europeo. Servono una politica industriale che valorizzi la manifattura, una difesa condivisa, insieme ad una vera politica estera comune. Si tratta di tappe non più rinviabili del cammino europeo. Senza di esse, l’Ue non avrà futuro”.
L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia ha reso centrale la questione energetica. L’Italia da questo punto di vista dipende in buona percentuale dalla Russia. Draghi ha auspicato la riapertura delle centrali a carbone, tuttavia oltre a non essere una misura sufficiente, in vista anche delle problematiche legate alla tutela dell’ambiente, quali potrebbero essere le fonti rinnovabili alternative sfruttabili e più semplici da implementare in Italia nel breve periodo? Sarebbe possibile renderci indipendenti dagli altri Paesi solo attraverso di esse nel lungo periodo?
“Il gas rimarrà una fonte indispensabile alla transizione ancora per molto tempo. Mentre le reti infrastrutturali esistenti, a partire dai gasdotti, resteranno strategiche sul lungo termine in quanto potranno essere ad esempio riconvertite per l’idrogeno. Come fanno notare in molti, sul fronte energetico l’Italia è l’unico paese europeo che negli anni ha praticamente detto “no” a tutto: al nucleare, al carbone, all’estrazione del gas nazionale e ai rigassificatori. E nel frattempo ha accresciuto in modo esponenziale la dipendenza dal gas russo. Se aggiungiamo poi le paradossali opposizioni cicliche a fonti rinnovabili, pale eoliche e solare, risulta evidente che questa miscela di fattori negativi ci ha condotto in un vicolo cieco, che l’aggressione russa all’Ucraina e la crisi conseguente hanno reso insostenibile. E’ di importanza vitale uscirne rapidamente, tagliando i costi e aumentando la sicurezza energetica. Serve un piano nazionale flessibile e diversificato, in un contesto europeo che punti ad aumentare il coordinamento interno e a ridurre drasticamente la dipendenza dall’estero”.
Nel settore energetico secondo lei la ricerca è sostenuta adeguatamente per compiere questi passi in avanti?
“Se non vogliamo passare da una parziale dipendenza dal gas russo ad una quasi completa dipendenza dalle batterie cinesi, l’Ue deve dotarsi di una strategia industriale condivisa. Mi spiego con un esempio tratto dai dossier legati alla transizione verde nei trasporti, di cui sono relatore al Parlamento europeo. La messa al bando dei motori a combustione interna dal 2035 proposta dalla Commissione Ue equivale a puntare tutto sull’auto elettrica. In questo modo, però, consegneremmo la filiera europea dell’automotive alla dipendenza dalla Cina, che produce l’80% delle batterie mondiali. Anche dando il massimo sostegno ai progetti delle nuove gigafactory europee, arriveremmo nel 2035 a coprire in modo autonomo solo il 7% del fabbisogno Ue di batterie. La prospettiva dell’abbandono dei combustibili fossili e la decarbonizzazione vanno affrontate con realismo. Occorre attuarle passo dopo passo, in modo graduale, valutando progressivamente l’impatto dei target sulle imprese. Nello specifico, come Partito popolare europeo proponiamo di procedere secondo il principio di neutralità tecnologica, includendo nel pacchetto climatico anche gli investimenti nei combustibili alternativi”.
Draghi ha anche parlato della possibilità di aumentare le forniture alternative, in particolare di gas naturale importandolo anche da altre rotte, tuttavia il nostro Paese ha un numero limitato di rigassificatori in funzione. Per migliorare queste infrastrutture, quali interventi potrebbero essere fatti?
“Nelle Commissioni del Parlamento europeo di cui faccio parte stiamo lavorando ad un pacchetto che preveda una forte accelerazione nelle rinnovabili sburocratizzando gli investimenti, una corposa diversificazione nelle fonti energetiche e una vera flessibilità. Sarà fondamentale potenziare gli impianti di stoccaggio, investire nei rigassificatori e nei terminal di gas naturale liquefatto, insieme ad un coordinamento negli acquisti Ue che prevedano volumi minimi nelle riserve strategiche di gas e un miglioramento delle reti energetiche per l’interconnessione tra Paesi Ue. Ma occorre essere chiari. Come ho ricordato di recente durante il dibattito sul REPowerEu con la commissaria all’Energia Kadri Simson, se nell’approccio su prezzi e stoccaggi la Commissione sembra centrare il problema, ci sono purtroppo ancora incertezze inaccettabili, ad esempio negli investimenti sugli impianti. Da un lato è infatti importante rivedere i limiti, troppo stringenti, imposti alle centrali a gas finanziabili; dall’altro, negli approvvigionamenti, è necessario considerare una volta per tutte come strategici gli impianti di rifornimento di gas liquido naturale, che al momento sono invece ancora in secondo piano nella direttiva Afir sulle infrastrutture per i combustibili alternativi, di cui sono relatore per il Ppe”.
Analizzando in particolare il nostro territorio, fiorente dal punto di vista industriale, c’è più possibilità che le imprese vengano penalizzate dal rincaro energetico o in termini di import/export?
“Un sistema di approvvigionamento energetico efficiente, che assicuri forniture a costi sostenibili, è condizione necessaria perché le imprese del territorio lombardo continuino a garantire l’eccellenza che tutti, nel mondo, ci riconoscono. E’ questa una delle priorità. Come Forza Italia chiediamo non solo controlli sui prezzi alla pompa in rapporto a quelli del greggio, ma un taglio netto delle accise – almeno quindici centesimi al litro fin da subito – e una drastica riduzione dell’Iva in un quadro armonizzato a livello europeo. E’ fondamentale che Bruxelles arrivi ad un reale coordinamento anche su questo versante: servono una soglia comune e regole condivise. Il movimento azzurro preme sul governo perché faccia in fretta. I rincari si sono già tradotti in aumenti rilevanti nei prezzi al consumo. E continuano ad arrivare notizie di aziende costrette a fermare gli impianti a causa di bollette energetiche a livelli intollerabili”.
La crisi pandemica aveva già messo a dura prova l’economia del territorio. Secondo lei quale delle due situazioni si rivelerà più critica per le aziende lecchesi e non, considerando che l’emergenza sanitaria non si è ancora conclusa?
“Dopo un lungo periodo di chiusure a singhiozzo, nei mesi scorsi la ripresa post pandemica aveva già fatto crescere in modo esponenziale i prezzi delle materie prime a livello mondiale. L’impatto della crisi in Ucraina rischia ora di aggravare un quadro già instabile, aumentando ulteriormente il caro energia. Il governo italiano e l’Ue devono vigilare e mettere in campo ogni strumento utile per scongiurare l’incrocio dei due eventi, una sorta di “tempesta perfetta”. Per questo abbiamo proposto di rivedere le regole del patto di stabilità europeo nel segno di una maggiore flessibilità, attuando una politica espansiva che si avvalga anche di un nuovo “Recovery Plan” per perseguire obiettivi strategici di lungo termine, come l’autonomia energetica e l’autosufficienza alimentare”.
Quali politiche potrebbero mettere in atto le imprese del territorio per tutelarsi in questo momento?
“Fermo restando che non sono i politici a dovere insegnare il lavoro agli imprenditori e, anzi, è la politica ad avere spesso bisogno di un sano bagno di realismo, posso dire che, visitando gli stabilimenti, osservando e imparando dalle scelte messe in campo da chi intraprende e ogni giorno crea valore rischiando del suo, le nostre aziende sapranno certamente ripartire da uno dei segreti del loro successo: la scommessa sull’innovazione tecnologica, grazie alla quale individuare nuovi modi per realizzare ottimi prodotti e continuare a dare vita alle lavorazioni di qualità che tutto il mondo ci invia, e che rappresentano l’orgoglio del Made in Italy. Credo che questa attitudine costituisca una delle ragioni più solide per non smettere di sperare in una ripresa duratura, che parta dalla Lombardia e da questi territori dinamici, che rappresentano la locomotiva del Paese”.