Genova 2001 – 2021, la riflessione di Pozzi: “Un altro mondo sarebbe stato possibile?”

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Alessandro Pozzi

Un’ampia riflessione di Alessandro Pozzi su Genova 2001 e su come questi episodi hanno spezzato i sogni di un’intera generazione

Pozzi parla di un sogno evaporato in quella calda giornata estiva di 20 anni

MERATE – Riceviamo e pubblichiamo una riflessione di Alessandro Pozzi, attuale consigliere comunale di minoranza a Merate con il gruppo Cambia Merate. Consigliere comunale a Osnago nel secondo mandato di Marco Molgora e poi assessore durante i due mandati di Paolo Strina dal 2004 al 2014, consigliere provinciale dal 2009 al 2014 e volto noto delle associazioni ambientaliste del territorio, Pozzi ha voluto ricordare i fatti avvenuti 20 anni fa a Genova ricordando quel ragazzo, poco più che ventenne, i cui sogni e le cui speranze, così come quelle di un’intera generazione che si era organizzata per chiedere a gran voce un mondo più giusto, proponendo una ricetta diversa e indicandone la strada, sono andate distrutte proprio nella città ligure.

Ecco l’intervento

Genova 2001-2021
Un altro mondo sarebbe stato possibile?

Quello nella foto sono io, venti anni fa e molti capelli in più.

A Genova c’ero, con il mio carico di ideali e i sogni di ragazzo che voleva cambiare il mondo “pensando globalmente e agendo localmente”.

Con molti compagni di viaggio, anche nel meratese costituimmo il Social Forum. Allora abitavo a Montevecchia insieme ad alcuni amici e spesso le riunioni si tenevano a casa nostra.

Ricordo il lungo striscione che capeggiava sul balcone con scritto “Un altro mondo è possibile” e le persone che andavano e venivano ad ogni ora. Ricordo le serate a discutere di globalizzazione, debito pubblico, transizione ecologica, Tobin Tax e decrescita.

C’era fermento culturale e politico allora.

A luglio, poco prima del G8, avevamo organizzato un campo internazionale di Legambiente a Campsirago e c’erano ragazze e ragazzi che venivano da ogni dove.

Il sabato mattina partimmo presto per Genova con la CIGL, indecisi fino all’ultimo se salire o no su quel pullman, dopo i tragici fatti del giorno prima.

Poi l’abbiamo vista quella folla di 200, forse 300 mila persone che ha riempito le strade del capoluogo ligure e ce ne siamo immersi.

Abbiamo sentito la tensione nell’aria, gli elicotteri che volavano bassi, le divise blu dappertutto.

E poi, l’abbiamo vista la gente scappare in preda al panico, abbiamo sentito l’odore dei lacrimogeni che cadevano da ogni dove, dagli elicotteri che volavano a pochi metri da terra.

Abbiamo sentito gli occhi, la pelle, il viso ardere, mentre le mani di chi ci stava accanto ci stringevano e la gente intorno piangeva.

Abbiamo visto le forze dell’ordine attaccare ragazze e ragazzi in modo indiscriminato. Abbiamo visto i loro manganelli e i calci dei fucili colpire con ferocia i volti di persone stese a terra o con le mani al muro, senza che nessuna pietà o preghiera potesse fermare la violenza dei loro bastoni.

Abbiamo visto medici essere colpiti mentre prestavano soccorso, ambulanze fermate, arrestati i feriti. Giornalisti con il volto tumefatto, senza che nessuna pettorina o tessera potesse garantire loro un salvacondotto.

E poi, abbiamo visto un ragazzo di vent’anni, militare di leva, mandato da qualcuno al di sopra di lui a combattere una guerra brutale. Lo abbiamo visto in preda al panico sparare due colpi di pistola in faccia ad un coetaneo che stava dall’altra parte della barricata.
Abbiamo visto il sangue per terra, la rabbia degli amici, la paura della gente.

E poi abbiamo visto anche loro, quelli del blocco nero, con i caschi, le catene e i bastoni. Li abbiamo visti mischiarsi tra la folla, sfondare i cordoni del corteo. Li abbiamo visti mentre incendiavano, devastavano, distruggevano una città messa a lustro per gli otto grandi.

Li abbiamo visti chiacchierare con gli uomini in divisa. Li abbiamo visti agire indisturbati mentre seminavano devastazione e poi restare impuniti. Tutti sapevano dove fossero, dove dormivano. Nei giorni precedenti il Vertice infiniti sono stati i controlli, le perquisizioni e i fermi, eppure loro a Genova sono arrivati, con i loro caschi tutti uguali e i loro bastoni, mentre alla dogana fermavano i pullman di Parrocchie e Sindacati.

E poi abbiamo visto la devastazione della Diaz. Abbiamo visto quell’irruzione insensata, violenta che ha svegliato con i manganelli 86 persone, solo 3 delle quali sono uscite con le proprie gambe. 83 barelle con ragazzi insanguinati e le ossa rotte. Abbiamo visto i computer divelti, i documenti distrutti, i rullini annientati, il sangue sui muri. Abbiamo visto i parlamentari e gli avvocati bloccati fuori, mentre all’interno la rabbia degli uomini in divisa non lasciava scampo.

E poi li abbiamo visti a Bolzaneto quelle ragazze e quei ragazzi ammanettati, aspettare il giudice per le indagini preliminari che firmasse la scarcerazione per “insufficienza di prove”. Li abbiamo visti costretti a subire insulti e ingiurie, senza la possibilità di parlare con avvocati e genitori.

E poi, il giorno dopo abbiamo sentito gli organi di informazione travisare la realtà. Abbiamo sentito il rancore e la rabbia mischiarsi nelle vene ascoltando le menzogne di certi giornalisti. Non è andata così, eravamo là, abbiamo visto.

Lo abbiamo sentito, l’allora Ministro dell’Interno Scajola riferire alla Camera dell’operato di Carabinieri e Polizia. “Doverose operazioni di ordine pubblico” le aveva chiamate. “Una perquisizione per stanare i violenti” era stata la macelleria della Diaz.

Abbiamo visto, sentito e provato tutto questo.

Volevamo cambiare il mondo, ma a Genova i nostri sogni sono stati calpestati sotto i colpi dei manganelli.

Per tre giorni siamo stati catapultati da uno Stato di diritto ad uno Stato di Polizia. In una dittatura militare nel quale migliaia di persone in divisa, armate in virtù della legge, hanno sperimentato il potere puro, l’arbitrio assoluto. Questi uomini hanno avuto l’ebrezza della libertà armata. Hanno potuto far passare e non far passare, perquisire, insultare, minacciare, provocare e torturare.

Quello che è stato spezzato a Genova è stato il sogno collettivo di una generazione che si era organizzata per chiedere a gran voce un mondo più giusto, proponendo una ricetta diversa e indicandone la strada.

Con la sua ferocia, Genova è stato l’inizio della fine. Dopo ci sono state le Torri Gemelle e la guerra in Afghanistan, altre priorità, altre barbarie. E un movimento così coeso, trasversale e pacifico non ha più avuto dignità di cittadinanza.

A distanza di vent’anni è lecito domandarsi cosa sarebbe diventato quel movimento se non fosse stato represso in modo così brutale. Se davvero avremmo avuto la forza di dar vita a quel “mondo diverso possibile”, se quel sogno collettivo non fosse evaporato in quel caldo pomeriggio di un’estate di 20 anni fa.

Alessandro Pozzi