LECCO – “Un doppio danno: all’industria italiana e all’occupazione”. Così il consigliere regionale del NCD Mauro Piazza sintetizza la sua posizione decisamente contro il referendum del 17 aprile prossimo. “Viviamo in un paese in cui fare impresa è sempre più difficile, in cui l’energia elettrica costa il 30% in più rispetto al resto dell’Europa, in cui la disoccupazione presenta livelli allarmanti e… cosa facciamo? Cerchiamo di dare un ulteriore colpo di grazia a una situazione ampiamente compromessa” .
Mauro Piazza già in passato aveva chiarito le sue posizioni: “Sì alla tutela dell’ambiente, no a posizioni di ambientalismo furoreggiante, che rischia di trasmettere all’estero una pessima immagine dell’Italia: un paese incapace di difendere la propria industria e le imprese, dove la intrapresa economica viene messa in discussione da posizioni di maniera”.
Sulla stessa linea Daniele Nava che coglie l’occasione per fare chiarezza sul tema che verrà sottoposto agli elettori nella consultazione referendaria del 17 aprile: “Vorrei ricordare che esiste già un divieto alle trivellazioni entro le 12 miglia. I cittadini dovranno invece pronunciarsi sulla durata delle concessioni già in atto”.
In caso di vittoria del sì, spiegano gli esponenti di NCD, non sarebbe più possibile continuare ad estrarre fino all’esaurimento dei giacimenti, con la contestuale chiusura di 48 siti industriali che provvedono al 2,3% del fabbisogno energetico nazionale. “In questo modo l’Italia rinuncerebbe a sfruttare 14 miliardi di metri cubi di gas e 5 milioni di tonnellate di petrolio”.
Piazza e Nava sono quindi “per l’astensione, allo scopo di difendere le ragioni dell’Italia che produce. Astenersi su questo referendum significa pure evitare un rincaro della bolletta energetica di circa 750 milioni di euro all’anno per i prossimi 15 anni, qualcosa come 11 miliardi di euro, che dovrebbero pagare le famiglie e le aziende”.
Infine il dato occupazionale: “Chiudere tutti quegli impianti vuol dire far calare la scure su 5mila posti di lavoro, 5mila persone, 5mila famiglie. Oltre a ciò l’Italia perderebbe un patrimonio ineguagliabile di conoscenze in un settore – quello parapetrolifero – che vale 20 miliardi di export. Se poi aggiungiamo alle perdite 7 miliardi di investimenti, royalties e imposte versate, 2 miliardi di euro per la dismissione dei siti e 300 milioni di euro per il voto… risulta evidente come il referendum sia un bagno di sangue che un Paese già abbastanza martoriato non può permettersi. Meglio starsene a casa!”, conclude Piazza.