Nel precedente articolo abbiamo introdotto lo spinosissimo tema del doping nello sport. Come d’abitudine l’obiettivo è stato quello di dialogare prima di tutto, ma anche di evidenziare perché, in fin dei conti, quando subentra l’elemento doping, molto probabilmente si sono perse le “reali” motivazioni iniziali che hanno spinto verso lo sport.
Quali sono quindi le motivazioni che subentrano e soppiantano il sano principio del “mi piace fare questo sport e mi impegnerò a dare il meglio di me”?
Esse si suddividono in 3 aree principali:
1) Ragioni Fisiche. Fra queste possiamo annoverare l’ossessione di migliorare le proprie prestazioni sportive al di là delle possibili conseguenze sulla propria salute. Accanto ad essa c’è spesso la necessità di superare o compensare il dolore causato da un infortunio durante il periodo riabilitativo. In questo caso la sostanza dopante viene utilizzata in prevalenza come analgesico o per accelerare la guarigione, con il consistente pericolo di diventarne dipendenti. In altri casi si tratta dell’utilizzo di farmaci per il controllo del peso (soprattutto in alcune discipline in cui le variazioni di peso danno l’impressione di poter influire direttamente sulla prestazione sportiva). Situazioni del genere non possono far altro che portare alla dipendenza psico-fisica del farmaco che diventa fattore vincolante e indispensabile per l’ottenimento dell’obbiettivo standard. Facciamo un esempio più vicino alla vita di tutti i giorni: con le dovute misure e distanze possiamo paragonare questa condizione a quella del fumatore che ritiene di poter digerire il cibo solo attraverso la sigaretta post pranzo. Un ulteriore ragione fisica può essere quella legata più ad un aspetto edonistico: il doping diventa uno strumento per ottenere un corpo in grado di essere attraente all’altro sesso. Non siamo più nemmeno nell’ottica sportiva ormai, ma si tratta di un pro-forma per sentirsi in pace con il proprio corpo in quanto tale… Davvero un pericolo soprattutto per le (ingenue, concedetemelo) nuove leve.
2) Ragioni psicologiche. In prevalenza si tratta di due aspetti strettamente correlati: da una parte c’è il tentativo di fuga dalle emozioni negative “oggigiorno divenute insostenibili a causa di stress insormontabili come: studio, allenamenti, vita sociale, etc.” (ovviamente sono ironico). Dall’altra c’è il tentativo di costruire la propria autostima e fiducia attraverso l’uso di farmaci/droghe. Nel mondo non sportivo un esempio che si avvicina è quello del ragazzo che ha bisogno di bersi un paio di cocktail per riuscire a trovare il coraggio di farsi avanti e conoscere la ragazza che balla a centro pista. Spesso le conseguenze sono immediate: in effetti quasi tutti i farmaci “stimolanti” hanno effetti collaterali come aggressività eccessiva, incapacità di controllare gli impulsi e le proprie risposte. E’ sempre molto facile compiere gesti irreparabili in queste condizioni…
3) Ragioni sociali. Soprattutto fra gli adolescenti c’è la necessità di essere accettati nel gruppo dei propri pari e la conformità talvolta supera il confine del buonsenso (non fatevi fregare: il leader di un gruppo, di norma, è qualcuno che è superiore allo “schema” che caratterizza il gruppo). Questa percezione non può che peggiorare se il professionistadi turno, stra-amato dai giovani, scivola nel baratro del doping: si insinua così l’idea che prendere sostanze sia una parte integrante per ottenere successi nello sport (ahimè). Il problema è che spesso questi adolescenti non sono nemmeno completamente sviluppati da un punto di vista psico-fisico: sono frequenti casi di problemi di salute scoperti negli anni successivi, ma solo quando queste malattie hanno effettivamente il tempo di emergere, poichè si assiste, purtroppo, anche a casi di suicidio prematuri (Anshel, 1998). Semplicemente l’adolescente non è in grado di… reggere. Ancor peggio è l’idea che effettivamente il doping non faccia per niente male e che invece sia un buon metodo per ottenere un buon livello di confort nelle proprie azioni (come con gli alcolici, ad esempio).
In conclusione c’è poco da dire: il doping è un grosso, enorme, massiccio problema che si presenta anche in luoghi o categorie dove non immagineremmo mai di trovarlo, del resto spesso si insinua anche nella vita quotidiana in forme depotenziate. Quello che si può fare, soprattutto nel proprio orticello, è quello di opporsi con assoluta fermezza a qualsiasi derivato di quello che può nel tempo tramutarsi in doping e, nel caso, denunciare il fatto alle autorità competenti. Mi metto soprattutto nei panni di un genitore che porta suo figlio a giocare, con la speranza che quest’ultimo sarà impegnato a sviluppare valori e capacità tipiche dello sport. E non trovarselo, invece, fuori di testa dopo ogni allenamento.
NON SOLO FOLLIE DEL DOPING, MA ANCHE SANISSIME FOLLIE!
Mettiamo da parte il doping e parliamo di qualcosa più divertente: colgo l’occasione per condividere con i lettori più affezionati (ma anche con chi stia leggendo questa rubrica per la prima volta) una mia simpatica attività sportiva attualmente in corso. In questo momento sono in viaggio per Roma, in bicicletta, con un gruppo di 4 amici (l’idea è nata da loro, mi sono lasciato trascinare nel vortice dell’entusiasmo, per fortuna). Seguirà ampio “reportage motivazionale” con consigli e suggerimenti psicosportivi!
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Dott. Mauro Lucchetta – Psicologo dello Sport
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