La gara finisce, gli occhi brillano, sia per chi ha corso che per chi ha guardato, si ha la consapevolezza di aver assistito a qualcosa di spettacolare, ricco di contenuti che ci accompagneranno ancora per giorni e tutto ciò sarà particolarmente stimolante. Ok, giocherò a carte scoperte e parlerò apertamente di ciò a cui mi riferisco: si è appena conclusa la gara della MotoGp in Qatar.
La cosa divertente è che l’argomento di questo articolo era già in cantiere dalle prime prove libere del giovedì, soltanto che ho voluto aspettare il quadro completo prima di tirare le somme.
Oggi parleremo dell’arma segreta che ogni sportivo possiede dentro di sé e che può conoscere ed utilizzare a suo piacimento anche senza l’intervento di un esperto in psicologia dello sport. Negli articoli precedenti, infatti, abbiamo constatato come sia difficile, per alcuni, riuscire a visualizzare la propria attività sportiva, i propri gesti atletici, o gli scenari che caratterizzano il proprio ambiente sportivo. Siamo poi giunti alla conclusione che le tecnologie possono aiutarci a sopperire questo limite, permettendoci di risolvere, in molti casi, il problema.
Ora pensate a quanto sia difficile intervenire, invece, in quei contesti in cui l’atleta abbia persino difficoltà ad etichettare le proprie sensazioni ed emozioni: il linguaggio psicologico è perciò distante dalla sua percezione, difficile da masticare ed interiorizzare (la frase standard è “non so che mi succede”, sia quando si vince che quando si perde).
Per fortuna, fra i vari “fiducia”, “motivazione” e “coraggio” che spesso caratterizzano il linguaggio dell’atleta esiste anche un termine che, come accennato nel titolo, rappresenta una leva forte e incredibilmente potente nella mente dello sportivo, al punto che possiamo considerarlo il vero asso nella manica dell’atleta psicosportivo. Sto parlando proprio di lui: “l’entusiasmo”.
Perché fiducia, motivazione e coraggio invece no? Semplicemente perché non è possibile agire su di loro in modo agevole: la sola pretesa di “avere più fiducia” è una richiesta impossibile, un ossimoro. La fiducia non è un bottone che si può accendere a piacimento. La motivazione spesso è una conseguenza del rapporto fra sforzi e risultati, mentre il coraggio nasce dalla consapevolezza di sé e dei rischi che si vogliono (o possono) correre.
L’entusiasmo, invece, per quanto assurdo (poiché non siamo abituati ed educati a farlo), è qualcosa che possiamo volontariamente attuare, in qualsiasi momento: basta semplicemente decidere di avere entusiasmo e comportarsi di conseguenza, vale a dire “come reagirebbe una persona con entusiasmo”. E’ un semplice esercizio pratico. Bisogna solo aver voglia di provare (e non necessariamente di riuscire) a dare fondo alle proprie risorse positive. Al di là dei risultati l’entusiasmo può comunque essere sempre presente: se io mi diverto come un bambino a giocare a… curling? il mio entusiasmo non calerà anche se continuerò a subire sconfitte, poiché il valore intrinseco del mio divertimento è l’azione stessa del giocare e non la vittoria. E’ il contesto, in quanto tale, a rendere divertente l’azione.
E’ molto semplice parlare di entusiasmo ad un atleta, anche perché, nella maggior parte dei casi di difficoltà, è proprio la prima cosa che lo sportivo stesso tende ad esprimere: “mi manca quella cosa… quella cosa lì…”. Quando si scopre che è possibile lavorarci sopra, ecco che nella maggior parte dei casi c’è subito una grande apertura: motivazione, fiducia e coraggio riappaiono subito! E con l’entusiasmo si vedono subito ottimi risultati. Quando però diminuisce ecco che… tutto va a rotoli! Si perde il senso di quanto fatto, tutto si azzera, si svalorizzano i progressi e… c’è un bivio: 1) L’atleta molla il colpo 2) L’atleta si ricorda che l’entusiasmo si può governare ed è un calo fisiologico (restiamo sempre nel gergo sportivo), si ridà quel minimo di carica e riparte.
Ecco, in queste prime giornate della MotoGP abbiamo assistito proprio al secondo caso, sia da parte di Valentino Rossi, che da parte della Ducati. Non fatevi ingannare dal settimo posto di Dovizioso: in questi giorni hanno davvero lavorato bene e potranno migliorare ancora, sebbene al momento stiano ancora utilizzando una moto “vecchia” che a breve sarà (forse) completamente sostituita. Ottime qualifiche fin da subito, come mai successo con Valentino.
D’altro canto Rossi è di nuovo sulla vetta, forse non sarà più in grado di vincere così facilmente come fu una volta ma, come lui stesso ammette candidamente: “ora sono felice”. E il suo entusiasmo lo trascina, anche quando le qualifiche non vanno per il verso giusto e soprattutto quando in gara si ritrova a quasi 4 secondi dal podio. A fine gara dirà: “ad ogni giro che riuscivo ad andare più forte, ridevo sempre di più dentro il casco”. E’ l’entusiasmo che l’ha portato qui oggi, nonostante due anni in cui c’era ben poco da sorridere, l’atteggiamento di Rossi è sempre stato ben oltre le aspettative dell’uomo medio che vive una difficoltà.
E’ questa l’arma segreta, la vera forma di resistenza e resilienza che può davvero far guadagnare decimi sul giro, correre più veloce, colpire più forte, segnare il punto decisivo. E’ una forma mentale che uno decide di portarsi dietro e che, se genuinamente appresa (concedetemi questo paradosso), può permettere di vivere persino meglio la propria esistenza a 360°.
Il passato, per i due attori ormai separati e su strade diverse, può finalmente diventare perlomeno agrodolce… il futuro, carico di entusiasmo, li aspetta a braccia aperte.
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Dott. Mauro Lucchetta – Psicologo dello Sport
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