“La cura dell’età anziana come opportunità di crescita per tutti”
Oltre 350 persone al convegno odierno svoltosi all’auditorium Casa dell’Economia
LECCO – Oltre 350 persone – tra cui molti operatori (medici, educatori, infermieri, ASA, OSS, volontari e familiari delle RSA, alcune fuori provincia), rappresentanti dei servizi educativi delle cooperative sociali e delle scuole del territorio, studenti delle scuole superiori (Bachelet di Oggiono, Istituto Maria Ausiliatrice e Bertacchi di Lecco) e numerose realtà coinvolte (quali Sindacati pensionati Cgil e Cisl, AUSER, ANTEAS, Caritas) – hanno preso parte questa mattina al convegno “Rsa, dove le generazioni si incontrano. La cura dell’età anziana come opportunità di crescita per tutti”, in programma all’auditorium Casa dell’Economia.
Un partecipazione numerosa e qualificata per un evento che si è proposto quale un momento di approfondimento e riflessione sul tema della cura dell’anzianità e della relazione intergenerazionale come motore di crescita della comunità nell’ambito del progetto “RSA, dove le generazioni si incontrano”, sostenuto da Fondazione Comunitaria del Lecchese e Fondazione Fratelli Frassoni, a cui aderiscono ben sette diverse residenze per anziani del territorio della provincia di Lecco: gli lstituti Riuniti Airoldi e Muzzi Onlus di Lecco (ente capofila), la RSA Fondazione Casa di Riposo Brambilla-Nava Onlus di Civate, la RSA Villa dei Cedri di Merate, la RSA Borsieri-Colombo di Lecco – Fondazione Sacra Famiglia Onlus, la RSA Regoledo di Perledo – Fondazione Sacra Famiglia Onlus, la RSA Casa di Riposo Enrico e Antonio Nobili Onlus di Viganò Brianza e la RSA La Madonnina di Vendrogno – La Muggiasca, Cooperativa Sociale di Solidarietà.
Condotto e moderato da Virginio Brivio (Presidente Provinciale UNEBA Lecco), il convegno è stato introdotto dal saluto delle istituzioni. Da Fabio Dadati, in rappresentanza della Camera di commercio di Como – Lecco, a Maria Grazia Nasazzi, presidente della Fondazione Comunitaria del Lecchese, che ha sottolineato il valore del progetto, che si fonda su una stretta collaborazione tra enti diversi con l’obiettivo di realizzare una “consegna di un compito alle nuove generazioni all’insegna della curiosità e attrattività per i più giovani, da costruire insieme con loro”, consentendo di “fare esperienza del mistero della vita, della morte e della sofferenza, che la società contemporanea tende a misconoscere”. Da Clara Sabatini (Dirigente Unità Organizzativa Rete Territoriale della Direzione Generale Welfare Regione Lombardia) che ha evidenziato come il progetto si inserisca nel più ampio piano di interventi di Regione Lombardia sul benessere delle persone, al direttore sociosanitario di Ats Brianza Antonio Colajanni, che ha riconosciuto come “l’invecchiamento della popolazione non debba far restare le RSA solo luoghi di prestazioni sanitarie, ma debba farle tornare ad essere luoghi di vita dove le generazioni possono incontrarsi, il luogo di una famiglia allargata, che è la comunità”, e a Raffaele Cesana, responsabile per i Pcto all’interno dell’Ufficio Scolastico Territoriale, che ha insistito sul valore di un progetto che consente a generazioni diverse, e spesso lontane tra loro, di incontrarsi concretamente.
È toccato a Rosaria Bonacina, vicepresidente degli Istituti Riuniti Airoldi e Muzzi, capofila del progetto, sottolineare come “questo progetto non nasce mai solo dall’idea brillante di qualcuno, ma nasce da una storia e dalla voglia di mettere a sistema esperienze che il nostro Istituto sviluppa a partire dal 2020 con il progetto “Ponti generazionali” sviluppato con Fondazione Sinderesi”. E ha continuato: “La parola generazioni richiama il verbo generare, che evoca con forza la parola vita. Nelle nostre RSA c’è tanta vita e tanto impegno nel prendersi cura della vita di tutti”.
Quindi è stata la volta di Elisabetta Lazzarotto, pedagogista da anni impegnata in servizi dedicati a persone anziane fragili e a persone con disabilità sensoriale nel territorio della provincia di Lecco e responsabile del progetto, spiegare come sia nato “RSA, dove le generazioni si incontrano” e come si stia sviluppando: “Nel nostro territorio provinciale, le RSA rappresentano un mondo che coinvolge 2000 anziani residenti, 2000 famiglie, 2000 operatori e 400 volontari. In questo contesto si inserisce questo progetto che non parte da zero, ma dalla grande esperienza di cura e di assistenza di tutte le RSA presenti. Ciò che ci proponiamo è la possibilità di cambiare lo sguardo che si ha verso questi spazi, fatto molto spesso la luoghi comuni, per farli diventare occasione di incontro per tutti. La cura dell’anzianità fragile diventa, così, preziosa opportunità per la cura di tutti”. In particolare, Lazzarotto ha evidenziato l’aspetto intergenerazionale del progetto: “Ci rivolgiamo sia ai grandi anziani residenti nelle RSA che ai grandi anziani e ai giovani anziani sul territorio, oltre che naturalmente ad adolescenti e giovani. Prendere parte a questo progetto rappresenta l’opportunità per i giovani di fare un’esperienza di affettività, di aprirsi a relazioni con adulti che li guidano al di fuori della dimensione scolastica e famigliare, di aprirsi alla relazione con compagni dentro una relazione di cura”. Un progetto che, sostenuto dal racconto di una serie di testimonianze di giovani e anziani sin qui coinvolti, coinvolge in prima battuta 7 RSA ma intende, con il supporto di Uneba provinciale, allargarsi alle altre 17 usa presenti sul territorio.
É seguita la relazione di Laura Formenti, docente di Pedagogia della famiglia all’Università di Milano Bicocca e responsabile di diversi progetti di ricerca sulle dimensioni educative, relazionali, familiari e comunitarie dell’invecchiamento e della cura, che ha il compito di supervisionare a livello scientifico il progetto lecchese. “Cosa vuol dire re-immaginare la vecchiaia” il titolo del suo apprezzatissimo intervento: “L’essere umano per sua natura sta bene nella relazione, perché riceve e da. Tutti noi abbiamo bisogno di sentire che quello che facciamo è utile agli altri. E in questo progetto i ragazzi stanno facendo cose utili per molte persone” Del resto “la longevità ci pone tante sfide, ma è anche un’occasione per pensare alla qualità della vita di tutti i cittadini”. Quanto ai giovani, “avvicinarli al mondo della cura, ma anche alla bellezza della memoria, dell’esperienza di chi ha vissuto tanta vita, è una grande opportunità: oggi i giovani hanno infatti poche occasioni per incontrare persone più grandi, che non siano membri delle loro famiglie. Questo progetto crea connessioni impreviste, genera bellezza e nuove prospettive”.
Per altro il progetto lecchese aiuta da un lato a superare l’ageismo, cioè quella forma di discriminazione basata sull’età che consiste nel trattare in modo ingiusto o pregiudizievole una persona o un gruppo di persone in base alla loro età , e dall’altro attraverso l’intergenerazionalità favorisce “uno scambio di saperi e una co-costruzione di esperienze impreviste”.
Particolarmente seguita ed applaudita la riflessione proposta da Luigina Mortari, professore ordinario di Epistemologia della ricerca qualitativa all’Università degli Studi di Verona, membro del Consiglio di amministrazione dello stesso atene e Direttore scientifico di Melete – Centro di Filosofia della Cura. Un vero e proprio percorso, attraverso il pensiero dell’uomo nei secoli e il contributo della filosofia, per riscoprire il significato più autentico delle parole e, in particolare, di quello di cura: “Una buona cura tiene l’essere immerso nel buono. Ed è questo buono a dare forma alla matrice generativa del nostro vivere e a strutturare quello strato di essere che ci fa stare saldi tra le cose e gli altri. Fare pratica di cura è dunque mettersi in contatto con il cuore della vita.”
“Sono convinta – ha proseguito – che l’esperienza che state facendo a Lecco possa diventare un modello a livello nazionale Il nostro tempo ha infatti dimenticato a lungo di occuparsi della vita degli anziani. La cultura occidentale nasce sull’idea dell’adulto efficiente e autonomo, dimenticano ed emarginando i fragili e non indipendenti. E se di bambini ci si comincia ad occupare a livello politico nel 1989 con la Dichiarazione dei diritti del fanciullo, gli anziani sono dimenticati perché non entrano più nella logica della società liberista o neo-liberista che esalta solo chi è in grado di produrre beni materiali”.
“Ma quello che soprattutto è accaduto nella nostra società è che la filosofia politica ha dimenticato il concetto base della vita umana, che è la cura. – ha affermato – Si è fatta prevalere la societas, cioè un insieme di individui legati da interessi, alla communitas, che invece ha impresso in se il concetto di munus, ovvero di dono, di gratuità. Il pensiero logico è calcolatore, il pensiero che feconda la vita è invece senza calcoli”.
Per la docente “non esiste una cura giusta in assoluto, ma dipende dal contesto in cui ci sin trova. Nella vita umana nulla è soggetto ad una regola, perché la vita è il luogo dell’infinitamente improbabile: per questo dobbiamo continuamente cercare il sapere della cura, consapevoli che è una ricerca che non ha mai fine. Dobbiamo quindi lavorare su di noi per sviluppare dei percorsi, dei modi di essere, per trasformare ciò che siamo. La cura è un modo di essere nel mondo, di relazionarsi con gli altri. E, in questo percorso, occorre riscoprire il concetto del bene: tutti cercano il bene, gli uomini cercano il benessere spirituale”.
La cura è dunque “dare tempo” perché attraverso la relazione con l’altro le nostre anime si nutrono reciprocamente: “Dare tempo e avere quella capacità interiore che è una postura dell’anima e che i greci chiamavano αγάπη (cioè amore spirituale gratuito, stare con l’altro con la massima tensione al bene, cercando di comprenderlo com’è e offrendogli tutto quello che può aiutarlo a star bene) e στοργή (amare teneramente, con dolcezza, lasciandoci prendere dal volto dell’altro)”.
Il convegno – sostenuto da BCC Valssina, impresa Valassi Carlo e impresa Sangiorgio Costruzioni – è proseguito con una tavola rotonda a cui hanno preso parte Emanuele Manzoni (presidente del Consiglio di rappresentanza dei sindaci), Andrea Millul (direttore sanitario Istituti Riuniti Airoldi e Muzzi), Marco Arosio (direttore RSA Borsieri Colombo Fondazione Sacra Famiglia), Luca Longoni (coordinatore del progetto The Factory) e Anna Panzeri (dirigente dell’Istituto Vittorio Bachelet di Oggiono).
Per Emanuele Manzoni, questo progetto “permette di passare dalla custodia alla cura, di contribuire a costruire una comunità che sappia valorizzare ogni aspetto della vita dell’uomo”. È questo l’impegno anche della Programmazione di zona, che si propone di sviluppare la dimensione della domiciliarietà come sistema di relazioni che si costruiscono all’interno del territorio in cui la persona abita, di favorire i luoghi di naturale aggregazione delle comunità locali puntando sui rioni, come luoghi di relazione e di possibilità di intercettare un bisogno e una necessità prima che il bisogno esploda, e di creare un tavolo permanente di confronto con le RSA, quali attori fondamentali e non solo luoghi di cura sanitaria. Estremamente positiva l’esperienza di Pcto avviata dal Bachelet, come testimoniato dalla dirigente Anna Panzeri: “Questo progetto è una vera occasione di crescita per i ragazzi e di arricchimento della scuola come istituzione. L’apprendimento passa certamente dalla condivisione di conoscenze, ma deve avere anche una forte connotazione sociale e relazionale, esperienze. Sono rimasta colpita dall’adesione volontaria dei nostri ragazzi, legata anche a progetti di vita che stanno costruendosi. Il loro intervento si è ispirato all’arte e alla musica, dunque alla bellezza. Per loro era importante rendere felici altre persone”.
“Le RSA sono pronte al cambiamento che ci è chiesto, lo vogliono. – ha sostenuto Marco Arosio – Ciascuna delle nostre realtà ha fatto esperienza di accoglienza dei giovani. E la cosa più bella quando c’è l’incontro tra generazioni sono la gioia e lo stupore che si legge nei volti degli anziani e dei ragazzi. La vera sfida è mettere a sistema queste buone prassi che stiamo sperimentando”. E ha concluso con l’invito ai giovani ad utilizzare i loro canali per “aiutarci a cambiare la narrativa delle RSA, troppe volte vittima di pregiudizi”. Da parte sua Luca Longoni ha raccontato il significato dell’esperienza del progetto The Factory, che da due anni coinvolge nella città di Lecco i rioni di Germanedo, Belledo e Caleotto, dove vivono 3780 famiglie, di cui il 20% rappresentate da over 65 che vivono soli. “Vogliamo familiarizzare il più possibile con le persone, avere serpe più possibilità di entrare in contatto con loro.- ha affermato – E lo stiamo facendo attraverso una regia comunitaria che attribuisce ad ogni singolo attore e ad ogni singolo luogo il compito di entrare in un pezzo di vita delle persone, aiutandole a sentirsi vive”.
Le conclusioni sono state affidate ad Andrea Millul (direttore sanitario Istituti Riuniti Airoldi e Muzzi): “C’è un vulnus molto rilevante nell’università, che è specchio della società: la medicina ha un atteggiamento molto tecnicistico. È un atteggiamento che tende a concentrarsi su come prolungare quanto più possibile la vita, senza però preoccuparsi della qualità della vita stessa. Le RSA sono una terra di confine in cui si affrontano le fragilità in un modo complesso, realmente multisciplinare. Il 30% dei nostri ospiti ogni anno cambia: tutte le volte ci dobbiamo confrontare con storie diverse, entrando in punta di piedi, cercando sempre di dare non quantità ma qualità di vita”. E ha continuato: “Sono convinto che progetti come questo facilitino il nostro lavoro di cura medica, perché fanno sentire le persone non espulse dalla società ma dentro una vita comunitaria in una logica di dono. Occorre cambiare la nostra idea di cura: possiamo utilizzare un farmaco per sedare, oppure garantire al nostro ospite un approccio che gli consenta di mantenere alto il livello di qualità della sua vita”.