Oltre alla testimonianza di Zaki, anche quella degli attivisti Sanaa Seif e Ahmed Stakoza
Grande partecipazione e ascolto al Centro Civico Pertini per le tre storie. Il sindaco a Patrick: “Già ti pensavamo vicino a Lecco, è un piacere averti qui”
LECCO – “Sogni e illusioni di libertà”. Basterebbe il titolo del libro di Patrick Zaki per racchiudere non solo la sua storia, ma anche quella di Sanaa Seif e Ahmed Stakoza, altri attivisti come lui imprigionati dal regime di al-Sisi in Egitto. Tutti e tre le hanno raccontate ieri sera, giovedì, nell’Auditorium del centro civico Pertini, nell’incontro organizzato dall’Istituto Comprensivo Lecco 3 ‘Stoppani‘. Storie diverse, ma tutte caratterizzate, oltre che da lunghi mesi di carcerazione, dall’assenza di democrazia e libertà in un Paese che è molto vicino all’Italia, che con essa intrattiene rapporti commerciali ed energetici, in cui spesso gli italiani vanno in vacanza. Una prossimità che non può far girare dall’altra parte, come invece spesso accade con altre questioni geopolitiche.
A moderare il dibattito il giornalista Luca Cereda, mentre ad accogliere i tre attivisti ci ha pensato il sindaco Mauro Gattinoni, che ha voluto donare un presente a Zaki di fronte al numerosissimo pubblico in sala: una foto scattata l’8 febbraio 2021 fuori dal Comune di Lecco, a un anno esatto dalla sua cattura. Un gesto di vicinanza che altri primi cittadini d’Italia avevano mostrato. “Erano momenti di apprensione nei tuoi confronti – afferma il sindaco rivolto a Patrick – potevamo solo immaginare il peggio. Già allora ti pensavamo vicino a Lecco, e oggi per noi è un piacere abbracciarti e vederti libero, a lanciare un messaggio a tutti i presenti, soprattutto ai giovani”.
Patrick Zaki ha dovuto infatti affrontare 20 mesi di detenzione al Cairo, dal 7 febbraio 2020 fino a dicembre 2021. L’arresto dopo che stava rientrando in Egitto da Bologna, città in cui il giovane si trovava per motivi di studio. Tra le accuse: diffusione di notizie false e post Facebook impropri, oltre che minaccia alla sicurezza internazionale. Dopo la scarcerazione, Zaki verrà considerato comunque colpevole fino al 18 luglio di quest’anno, quando al-Sisi decise di concedergli la grazia.
Una vita, quella di Patrick, all’insegna dell’attivismo sin dalla tenera età: “Ho deciso di seguire questa strada quando vidi un bambino palestinese che si nascondeva dietro a un muro per sfuggire a un soldato israeliano“. Se la storia di Zaki è nota ai più, quelle di Sanaa e Ahmed sono riuscite a fornire un ulteriore spaccato della situazione di oppressione che si respira in Egitto. Un clima che la ‘Primavera araba’ non è riuscita a scacciare, anzi: due anni dopo le agitazioni del 2011, l’Egitto è di nuovo precipitato nell’incubo, dopo i già trent’anni di regime con Mubarak.
La salita al potere di al-Sisi nel 2014 con un colpo di stato, a seguito di un anno di governo con i Fratelli Musulmani che ha suscitato parecchia scontentezza nel popolo egizio, ha spento ogni speranza per il Paese di vivere una nuova stagione. E la colpa, per i tre attivisti, è anche dell’Occidente che ha preferito dare potere a un movimento autoritario per non avere una Nazione instabile, visti gli innumerevoli interessi politici ed economici in gioco. Parte del fallimento però Patrick, Sanaa e Ahmed lo danno allo stesso Egitto che ancora non sapeva che direzione voleva prendere: è facile andare contro Mubarak, difficile affrontare questioni più complesse per costruire qualcosa di nuovo.
Anche perché scardinare una mentalità autoritaria può richiedere anni: “Il modo sistematico di usare la violenza da parte della polizia egiziana è qualcosa di radicato – sottolinea Zaki – che non è nato con al-Sisi, anche se sicuramente si è inasprita nei confronti dei prigionieri politici. Nel libro racconto un episodio che ben fa comprendere questo aspetto: mentre ero seduto fuori da un ufficio, una persona che passava di lì mi ha tirato una bottiglietta in testa, senza motivo. Non ero né ammanettato né bendato, quindi non mi sarei mai aspettato una simile violenza in quel contesto. Comprendere perché simili atteggiamenti si sviluppano è difficilissimo quanto eliminarli, servono studi approfonditi e in più campi. La mia fortuna, rispetto ad altri che hanno passato situazioni peggiori della mia, è stata avere alle spalle amici, movimenti e persone che hanno dato rilevanza al mio caso“.
Tornando alle storie di Sanaa e Ahmed, la prima è stata imprigionata perché con la madre e la sorella ha tentato di ottenere informazioni sul fratello detenuto, si trova in carcere ormai da nove anni, e in particolare sul suo stato di salute: infatti non ricevevano più sue notizie durante il periodo della pandemia, e temevano avesse contratto il Covid, visto che non rispondeva più alle loro lettere e le visite erano interrotte nella fase di emergenza. Sanaa ha dovuto scontare un anno e mezzo di prigione e, prima di essere condotta in cella, è stata picchiata e accusata di diffondere fake news e di utilizzare in maniera inopportuna i social.
Ahmed invece è stato letteralmente sequestrato perché rifiutava la leva militare obbligatoria e, successivamente, ha iniziato a protestare per i diritti umani fondamentali, assenti sotto il regime. Nel 2021 era poi stato scarcerato ma, come lui stesso racconta, sembrava che dalla prigione non se ne fosse mai andato: “Ero a casa, ma la Polizia nazionale veniva a controllarmi due volte al mese: entravano e setacciavano le stanze da cima a fondo, anche il cellulare. Adesso mi ritrovo in esilio qui in Italia, ma non è una scelta volontaria. Mi piace vivere qui ma vorrei tornare dalla mia famiglia. E sento che in Italia una sicurezza interiore non riesco più ad averla, ma continuo a lottare. Dovermene andare ha significato semplicemente spostare la mia battaglia fuori”.
Elezioni 2024 in Egitto: “Tutta una farsa”
Guardando al futuro dell’Egitto, alla domanda su cosa pensano accadrà secondo loro durante le prossime elezioni nel 2024, il pensiero è unanime: “E’ tutta una recita, è sotto gli occhi di tutti che non ci sarà nessun candidato al di fuori del regime – commenta lapidario Zaki, primo a prendere parola – e in ogni caso non c’è garanzia che tutti abbiano pari opportunità. L’unica persona che ha provato a far parte della campagna elettorale è stata arrestata e si trova ancora in prigione. Visto che non c’è alcuna speranza per le elezioni, ci stiamo occupando di salvaguardia i civili palestinesi e chiedere il cessate il fuoco, dato che da parte del mondo occidentale non sembra esserci pressione in questo senso. Al momento, in quanto attivista politico, è questa la mia missione principale. Le elezioni, dal mio punto di vista, perdono importanza nel momento in cui, nel paese accanto al mio, ogni giorno ci sono dei bombardamenti“.
Sulla stessa lunghezza d’onda è Sanaa: anch’essa non nutre grandi aspettative per queste elezioni, e chiama in causa la questione israelo-palestinese. “La guerra dà la possibilità al governo di non affrontare i temi cruciali del Paese: l’unico interesse in questo momento è far sì che i rifugiati palestinesi non escano dall’Egitto. Egitto che è in caduta libera, economicamente parlando. Di positivo c’è che tanti attivisti egiziani si stanno organizzando e cominciano ad avere le idee più chiare su cosa vogliono e cosa no. Per quanto mi riguarda, continuerò a portare avanti la battaglia per mio fratello e cercare di liberarlo”. Chiude i pensieri sulle elezioni Ahmed: “Non cambierà niente: è probabile che per mutare la situazione in Egitto ci debba essere una spinta da fuori, ma per farlo l’interesse verso il nostro Paese dev’essere più acceso. Nel frattempo noi non molliamo e continueremo a fare attivismo, per una giusta causa“.
Per aiutare Patrick, Sanaa e Ahmed, e l’intero Egitto, serve comprendere cosa sta accadendo al di là del Mar Mediterraneo, a poca distanza da noi, ma anche come l’Italia, il nostro governo, si muove all’interno della politica estera, e soprattutto se lo fa continuando a comportarsi in maniera democratica.