Non si lascia indietro nessuno… mai! La testimonianza della casa dei ragazzi di Olgiate

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Il 3 dicembre si è celebrata la giornata internazionale delle persone con disabilità

“I nostri ragazzi hanno mostrato di essere persone speciali perché hanno mostrato una resilienza sorprendente”

OLGIATE – Riceviamo e pubblichiamo la bella testimonianza a firma di Marta Mozzanica, responsabile dei programmi educativi della casa dei ragazzi Iama Onlus di Olgiate, in merito alla giornata Internazionale delle Persone con Disabilità, celebrata ieri, 3 dicembre.

La professionista ha voluto raccontare l’esperienza l’esperienza di questi mesi tra lockdown e restrizioni presso la Residenza Sanitaria Disabili di Olgiate Molgora sottolineando l’importanza di non lasciare mai indietro nessuno.

Ecco l’intervento.

La giornata internazionale delle persone con disabilità, nonostante tutte le nostre speranze, cade ancora in pieno lockdown e la riflessione su questa giornata non può prescindere da questo dato di fatto, qui in Casa dei Ragazzi come altrove.

Mi scorrono nella testa i volti di coloro che ho conosciuto nelle strutture per le quali ho lavorato. Tanti, ma solo una cinquantina fanno al momento parte della mia quotidianità. O meglio, io faccio parte della loro.

Abbiamo vissuto un anno che sembrano cinque, come ho letto da qualche parte sul web. La vita di ognuno di noi è stata sconvolta, immaginate quella di chi vive in una comunità, per i quali uscire, vedere famiglia ed amici sono il fulcro della vita sociale. Più nulla, d’improvviso. Tutti insieme, tutto il giorno, chissà fino a quando. Immaginatelo per chi ha difficoltà ad affrontare i cambiamenti, chi ha difficoltà comprenderli, quando anche la modifica di un’attività può diventare un problema.

Qui nella RSD (ndr. Residenza sanitaria disabili) non ci siamo confrontati con la solitudine, con il silenzio, con la calma piatta delle quattro mura casalinghe, bensì con la paura della troppa prossimità, il chiasso dello stare tutti insieme, gli operatori irriconoscibili perché bardati da capo a piedi, i compagni che, giorno dopo giorno, non trovavamo a colazione e immaginavamo a letto. L’isolamento, quello sì: basta piscina, uscite, bar e soprattutto basta famiglie e rientri a casa.

In quest’anno, insieme ai “ragazzi”, abbiamo sperimentato nostro malgrado qualcosa di nuovo: la nostra fragilità e mai come in questo 2020 la fragilità dei più fragili è diventata la normalità di tutti.

Eravamo, siamo, in questa situazione insieme: ospiti, operatori, famiglie. Pur continuando a restare nei nostri ruoli, la paura, la sofferenza e la determinazione ad andare avanti come meglio si può, ci hanno resi uniti e ci hanno spinti a tornare all’essenziale, e cioè che siamo persone, stiamo vivendo qualcosa di più grande di noi insieme, le une accanto alle altre. E allora un ospite può incoraggiarti mentre cerchi di svagare il gruppo; un familiare, seppur preoccupato a morte, trova il tempo e la forza di dirti grazie, di esprimerti vicinanza. E così ritrovi le forze, ti alzi, custodisci questi momenti e fai di tutto per portare a termine quanto ti è stato affidato. Ma la verità è che senza l’appoggio dei nostri ragazzi e delle loro famiglie sarebbe stata molto, molto più dura. Se ripenso a quei giorni, che sono anche questi, sono i volti sorridenti, le parole di conforto di chi può esprimersi e la pacatezza di tutti che mi rendono grata. Non avete idea di quanto siano stati pazienti i nostri ragazzi: avrebbero avuto pieno diritto di arrabbiarsi, infuriarsi, ed invece sono stati i nostri migliori alleati, quasi non volessero aggiungere altro carico a ciò che già stavamo vivendo.

Arthur Golden diceva:

“Le avversità sono come un vento forte: ci strappano via tutto tranne ciò che non può essere strappato, e ci rivelano per quello che siamo.”

I nostri ragazzi hanno mostrato di essere persone speciali, e non perché a loro manca qualcosa, ma perché hanno mostrato una resilienza sorprendente.

Ho imparato questo da loro, la resilienza: ciò che loro potevano (sop)portare, lo potevo fare anche io.

E in questi mesi abbiamo scoperto l’impensabile: che sappiamo anche stare insieme, senza grandi eventi e programmazioni, a fare musica o guardare un film, a dipingere, tagliare, punteggiare, incollare. Certo, non vediamo l’ora di tornare a tutto il resto, ma sappiamo stare anche nell’essenziale, lo abbiamo dimostrato.

In tutto ciò, devo ammettere che il Covid è stato con noi democratico ed inclusivo come nessuna politica sociale lo è stata mai: ci ha colpiti tutti insieme con uno schiaffo forte, improvviso ed inaspettato. Spaventati ma tenaci, operatori e ospiti abbiamo fatto fronte comune e, giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, abbiamo riempito di una nuova quotidianità le miti giornate di marzo, aprile e via verso la primavera, verso la prima estate senza mare, montagna o lago, senza gite e vacanze a casa.

Oggi voglio dare testimonianza della loro forza, della loro allegria, di cosa vuol dire fare il lockdown in una quarantina di persone tutte insieme, fidandosi di quello che dicono gli operatori, gli unici che la sera possono andare via.

Poco poeticamente abbiamo dovuto pensare non solo a come intrattenere, ma anche a come spiegare e dare senso alle restrizioni, come mostrare quali regole sono necessarie per farli stare al sicuro. Il video “Scuola Antivirus” che ne è nato è, a mio parere, specchio fedele e autentico di quello che sono le persone per e con le quali lavoriamo: dirette, diligenti ma anche distratte, confusionarie ma anche maniacali, litigiose ed affettuose, in quella maniera così singolare che ti strappa un sorriso ed un rimprovero allo stesso tempo. A vederci insieme, e anche starci, siamo così: un caos ordinato. Se entri dalla porta, soprattutto in alcuni momenti della giornata, probabilmente incontrerai ospiti che salgono e scendono le scale, operatori che vanno avanti e indietro, gruppi di ragazzi che si mettono le giacche, o passano da un’aula all’altra; se arrivi a pranzo vedrai ragazzi in ascensore, sul montascale, sulle scale, magari qualcuno cercando di guadagnare vantaggio perché quel giorno ha più fame. Capita anche a me di dover andare a prendere una fotocopia, ma incontro qualcuno che deve salire in refettorio e lo accompagno, poi scendo e un’altra ospite mi chiede di aiutarla con la borsa, o un altro con la giacca, o contare i suoi “soldini” perché li ha persi. Poi mi chiamano al telefono e in un attimo mi ritrovo in corridoio e mi chiedo “ma dove stavo andando?”.

Sappiamo anche essere concentrati e silenziosi, come quando si gira in struttura durante le attività, o durante il riposo, o durante i pasti, ma sono le scale e i corridoi pieni di persone l’istantanea che mi viene alla mente quando penso alla RSD. E vi assicuro, se mi fermo e chiedo ad ognuno cosa fa lì, hanno tutti un motivo. Per questo lo chiamo, il nostro caos ordinato.

Quando il 3 dicembre scenderò in salone per dire ai ragazzi che è un giorno speciale, in cui pensano a noi in tutto il mondo, partirà un urlo e l’applauso, come capita in tutte le feste che tradizionalmente organizziamo e che non sono mancate neppure quest’anno: la festa della Casa finalmente “covid free”, quella d’Autunno, la prima social, pochi giorni fa.

E balleremo anche questa volta, perché se abbiamo ballato nei giorni bui di inizio marzo, non ci fermeremo certo adesso, col Natale alle porte, quando affronteremo, di nuovo, una festa tutti insieme, senza lasciare indietro nessuno…mai!

Marta Mozzanica