Cristina Bonacina, la calolziese che corre sui grattacieli

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“La prima gara sul Pirellone, da lì non ho più smesso…”

Una disciplina che, in tempo di quarantena, diventa attuale

LECCO – In questo particolare momento di restrizioni dove ognuno cerca di inventarsi qualcosa per allenarsi e restare in forma ecco che diventa di attualità una disciplina ancora poco conosciuta che, soprattutto all’estero, ha un notevole seguito: la corsa sui grattacieli. Si tratta di salire le scale dei più importanti e famosi grattacieli del mondo; una disciplina che, dopo l’attentato alle Torri Gemelle, ha visto la nascita di un circuito di gare a scopo benefico.

Cristina Bonacina è sicuramente una delle miglior interpreti a livello mondiale della disciplina.
“Sono nata a Lecco il 25 ottobre del 1975 e ormai da qualche anno mi sono convertita alla
specialità abbastanza nuova delle towerrunning, si tratta di salire i grattacieli più conosciuti del mondo nel minor tempo possibile”.

Quali sono stati i tuoi primi passi nel mondo della corsa?
“Ho iniziato a correre a otto anni e mezzo le classiche non competitive. Nel 1990 ho fatto le prime gare agonistiche con Italo Conti e Enzo Del Negro, da sempre miei fans, con la società Gs 3 Stelle Nautica Bolis del patron Luigi Bolis. Ho corso con quella maglia per 14 anni, poi sono passata per un paio di anni al Gp Valchiavenna e infine al Gp Talamona che è la mia società attuale”.

Hai sempre avuto la passione per la montagna e nelle gare su quei terreni come te la cavavi?
“A livello provinciale me la son sempre cavata bene fin da giovane, mentre a livelli superiori mi attestavo intorno a metà classifica. Tra i risultati più belli posso vantare un titolo italiano master 35 in coppia con la mia compagna di squadra Mara Ciaponi nel 2011
ad Arco di Trento e un titolo europeo a squadra con la rappresentativa di skyrunning nel kilometro verticale nel 2011 in Spagna”.

Come è nata la tua passione per i grattacieli?
“Per caso: l’amico Marco De Gasperi (pluricampione del mondo di corsa in montagna, ndr) mi invitò nel 2007 a partecipare alla prima edizione della Vertical Sprint sul grattacielo Pirelli di Milano, a sorpresa vinsi la gara. Sono state emozioni diverse da quelle che provavo nelle gare tradizionali e da lì non ho più smesso”.

Quali sono state le tue migliori performance in questa particolare disciplina?
“La mia migliore stagione è stata nel 2011 con la vittoria nel Towerruning World Cup e il secondo posto all’Empire State Building di New York, il simbolo per eccellenza delle gare sui grattacieli. L’anno successivo giunsi terza, nel 2014 sesta, nel 2015, 2016 e 2019 sempre quarta. Nel Vertical World Circuit, invece, giunsi seconda nel 2011, 2012 e 2014, terza nel 2015, quarta nel 2016 e 2017, quinta nel 2018 e 2019″.

Quali caratteristiche servono per emergere e come si sta evolvendo la specialità?
“In questi ultimi anni questa tipologia di gare ha preso piede soprattutto per l’aspetto benefico: il cui ricavato delle gare viene devoluto in beneficenza, soprattutto negli Stati Uniti, dopo l’attentato alle Torri Gemelle. Ormai sono oltre 200 le città che organizzano gare sui grattacieli più simbolici. Le caratteristiche variano a seconda della lunghezza della gara: in una gara sprint di pochi piani i giovani la fanno da padroni, mentre nelle gare dove i piani aumentano e il dislivello comincia a salire (parliamo anche di oltre 120 piani e 600 metri di dislivello) la testa può fare la differenza. Anche la tecnica di corsa può aiutare: correre tre gradini alla volta può essere molto utile in una gara corta ma può risultare controproducente in una gara lunga. Qualcuno si aiuta con il corrimano, altri li utilizzano entrambi, altri ancora preferiscono correre i gradini rapidamente uno alla volta. Personalmente cerco di usare il corrimano e salire camminando rapidamente due gradini alla volta con una parte iniziale di corsa. E ancora, ci sono gare le cui scale girano sempre a sinistra e altre che girano solo a destra, io essendo destrorsa preferisco ovviamente quelle che girano a destra anche per la presa al corrimano. Poi ci sono quelle che hanno dei corridoi e lì ci si riposa almeno un pochino, mentre altre gare hanno 200 rampe senza un pianerottolo e sono le più massacranti. Altre hanno gradini più o meno alti che vanno interpretati in maniera diversa. Anche solo sapere a che punto sei della gara con la numerazione dei piani spesso può fare la differenza. Le variabili sono molte e questo rende le gare ancor più interessanti”.

Come si disputano nel concreto le gare sui grattacieli?
“Nei primi anni le gare prevedevano partenze in linea ma con il passare del tempo gli organizzatori hanno capito che far correre centinaia di persone contemporaneamente su una scala poteva diventare pericoloso e poco coinvolgente. Ora si tende ad organizzare gare a cronometro con atleti distanziati dai 15″ al minuto. In alcuni casi ci sono delle batterie di qualificazione e solo i migliori poi si sfidano in una prova finale con partenza in linea stile formula uno. Negli ultimi 2/3 anni è stata adottata anche la formula della somma dei tempi fatti registrare su più prove distanziate pochi minuti una dall’altra o addirittura prove di ‘endurance’ con atleti che si sfidano a chi sale più volte un grattacielo in un determinato numero di ore, tornado alla partenza con l’ascensore”.

Grande successo in giro per il mondo, ma in Italia?
“In Italia non c’è stato quel boom che speravo, si organizzano due o tre gare in un anno con alcune centinaia di atleti al via. Sono nate alcune gare outdoor sulle condotte idriche tra cui il Valtellina Vertical Tube e il 750 in condotta alle quali sono particolarmente legata. All’estero, soprattutto negli Usa e in Cina, è diventata una attività particolarmente seguita con gare dove si arriva anche a 5000 partecipanti. Come italiani vantiamo dei risultati importanti però siamo pochi a causa dei costi delle trasferte e dei pochi sponsor italiani interessati. Io seguo due circuiti differenti: il Vertical World Circuit, con una decina di gare all’anno selezionate e azzeramento dei punti a fine di ogni stagione, e la Towerrunning World Cup con moltissime gare a cui si può partecipare ma con un ranking che tiene conto dei migliori otto punteggi ottenuti con sistema di punteggio ciclico stile Atp tennis”.

Pensi di riuscire ancora per molti anni ad essere competitiva e cosa vedi nel tuo futuro?
“E’ ormai da diverso tempo che mi riprometto di smettere. Mi ero posta il limite di 100 gare sui grattacieli e invece sono a già a 148. Allenarsi quotidianamente diventa sempre più impegnativo e i viaggi cominciano a pesarmi, però credo non sia ancora arrivato il momento di appendere le scarpe al chiodo almeno per i grattacieli. Spero di riuscire ancora a emozionarmi alla fine di una gara davanti al cronometro e al panorama mozzafiato che ogni grattacielo mi offre”.

In un’attività con dei costi non indifferenti probabilmente avrai molte persone da ringraziare.
“Hai ragione, sono tante le persone che in questi anni mi hanno sostenuto, anche economicamente: Marino Giacometti fondatore del Vertical World Circuit, Vibram, il Parco Faunistico le Cornelle, Kapriol di Sandro Morganti, Human Tecar di Mario Scerri, Chimiver spa di Oscar Panseri, Studio Avv. Vincenzo Coppola, Mirko Vaccarezza Running Team. Un grazie particolare va al mio fisioterapista Stefano Punzo, al mio allenatore e mental coach Giovanni Bonarini e a Emanuele Manzi compagno di mille trasferte. Una parte fondamentale, poi, l’hanno fatta anche i giornali e le riviste che spesso hanno pubblicato articoli sulle mie trasferte, la cosa ovviamente mi ha fatto piacere e mi ha stimolato positivamente a continuare”.