Palladium strapieno per Yates, l’alpinista della morte sospesa

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LECCO – C’era attesa per la serata griffata Gamma con ospite nientemeno che Simon Yates, l’alpinista inglese famoso in tutto il mondo anche per essere stato il protagonista, insieme all’amico Joe Simpson, della tragica disavventura raccontata nel libro e nel film “La morte sospesa”.

 

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Da sinistra, il presidente dei Gamma Giovanni Spada, l’alpinista Simon Yates e il traduttore Luca Calvi

 

Una disavventura incredibile, avvenuta nel 1985 in Perù. I due stavano ridiscendendo la Siula Grande dopo averla conquistata ma non appena iniziata la discesa, Simpson si rompe una gamba. Yates a quel punto decide di iniziare una lunga serie di calate, ma il maltempo li sorprende. Yates prosegue il duro lavoro ma ad un certo punto si trova a dover reggere la corda a cui era appeso l’amico, penzolante nel vuoto. Dopo un’ora e mezza di impasse, Yates per salvarsi si trova costretto a tagliare la corda facendo cadere il compagno. Superata la notte, Yates scopre che il compagno dopo la caduta è finito in un crepaccio sottostante. Credendolo morto torna al campo base. Ma mentre Yates sta recuperando le energie incredibilmente Simpson, miracolato, si presenta al campo base, esausto, sfinito, con una gamba rotta, ma vivo.

 

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Ma nella serata di martedì, con Luca Calvi a fare da interprete. al numeroso pubblico del Palladium e agli amici dei Gamma Simon Yates ha presentato “La mia vita tra tante montagne” un excursus delle sue numerose e più significative ascensioni che lo hanno portato ad essere il grande alpinista che è. Dalla prima salita del Leyla Peak e del Nemeka nel Karakorum pakistano del 1987 (6300 e 6400 metri), fino alle tredici prime cime recentemente salite nel Saven Range, in Groenlandia. E ancora Ama Dablam in Nepal (6856 metri), il Denali in Alaska (6145 metri), l’Aconcagua in Argentina (6960 metri), il Khan Tengri in Kazakistan (6995 metri), lo Spantik in Pakistan (7027 metri), il Picco Lenin in Kyrghistan (7134 metri) e il picco Korzenevskaya in Tagikistan (7120 metri).

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L’INTERVISTA A SIMON YATES

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Qual è il tuo rapporto con la montagna?
“Lo ritengo il modo migliore per ricollegarsi al mondo della natura attraverso una sfida mentale e fisica”.

Alpinisti si nasce o si diventa?
“Penso che alpinisti si diventa. Io sono nato nel centro dell’inghilterra e non è stato di certo un inizio promettente per diventare un alpinista. Poi, andando all’università di Sheffield (Simon è laureato in biochimica, ndr) ho avuto modo di entrare in contatto con un club alpino e da qui è nata la mia passione per la montagna”.

L’inizio della tua carriera alpinistica è stato segnato dalla famosa disavventura sulla  Siula Grande. Questo episodio quanto ha influito sul prosieguo della tua attività?
“Non credo che la mia vita sarebbe cambiata più di tanto se fosse andato tutto bene. Non mi ha allontanato dall’idea di scalare le montagne. Io ho continuato ad arrampicare e a scalare. Eravamo due scalatori con poca esperienza e per la prima volta in Perù su una grande montagna. Sicuramente in quell’occasione alcune cose non sono andate per il verso giusto e da quelle ho imparato molto”.

Quando hai visto Simpson vivo, ti aspettavi da parte sua una reazione positiva e di comprensione com’è stata, nonostante la sua scelta estrema?
“No, non mi aspettavo una reazione differente. Se si osserva la sequenza degli eventi, Simpson aveva una gamba rotta e io ho passato un sacco di ore a mettere a repentaglio la mia vita per cercare di riportarlo al campo base. Potevo anche lasciarlo lì. Ma non l’ho fatto, ho cercato di fare tutto quello che potevo per quell’epoca e poi è andata com’è andata”.

Porti con te qualche rimpianto, sempre in termini alpinistici?
“Nel 1996  sono stato su due montagne in Pakistan senza riuscire ad arrivare in cima nonostante fossimo a due passi, forse 100 metri, ma non li chiamerei rimpianti”.

Che rapporto hai con la paura?
Parte delle arrampicate è proprio la gestione della paura, il riuscire a razionalizzarla. La paura è un istinto naturale di sopravvivenza. Ma attenzione, perché se andate ad arrampicare e scalare e vi ritrovate a non avere più paura, è altrettanto pericoloso”.

Che messaggio dai ai giovani e alle nuove generazioni di alpinisti?
“Spero di essere di ispirazione per qualcuno. Dico loro, andate, divertitevi, ma sappiate che sono posti comunque pericolosi quindi fate sempre attenzione”.