(S)punti di vista. Quaresima e digiuno, ecco cosa successe a Lecco nel 1893

Tempo di lettura: 3 minuti
"Foto Brogi, Lecco - Veduta della città 1890 circa. Collezione Possenti Matteo"

RUBRICA – Carissimi lettori benvenuti! Prende avvio oggi la rubrica da me curata “(S)punti di vista”; vi terrò compagnia ogni venerdì andando alla scoperta di curiosità culturali del nostro territorio.

Oggi, Venerdì Santo, vi propongo uno scorcio della nostra città alla fine del 1800 tramite un approfondimento sul tema del digiuno ecclesiastico, il digiuno praticato dai cristiani come forma di penitenza in alcuni giorni dell’anno.

Il Venerdì Santo è l’ultimo venerdì prima della Pasqua, quello della morte e deposizione del Signore, il giorno in cui “il velo del tempio si squarciò in due, da cima a fondo, le rocce si spezzarono, i sepolcri si aprirono e molti corpi di santi morti risuscitarono” (Mt. 27, 51-53). E’ un giorno di silenzio, di “buio”, di introspezione e di digiuno.

Il digiuno è uno dei modi attraverso i quali i fedeli si preparano alla Pasqua, insieme alla preghiera più intensa e alla carità. Oggi il rispetto di tali precetti è lasciato alla coscienza di ciascuno ma un tempo essi avevano una dimensione “sociale”.

Foto Pane Pesci by Giovanna Samà

Nel 1893 Lecco era capoluogo della “pieve di Lecco” (Plebis Sancti Nicolai Leuciensis) facente parte dell’arcidiocesi di Milano; vescovo era Luigi Nazari di Calabiana di nobile casato (apparteneva alla famiglia dei conti di Calabiana) e politico attivo quale senatore del Regno di Sardegna prima e del regno d’Italia poi; quando Calabiana prese possesso dell’arcidiocesi ambrosiana nel giugno del 1867, a Milano erano fortissime le divisioni fra laicato e clero ed era acceso il dibattito sul potere temporale della Chiesa.

Egli era un cattolico intransigente e conciliatorista, nobile di origine e di animo, profondo conoscitore della “sua gente” al punto che, approssimandosi la Quaresima, si rese conto che le restrizioni alimentari di quel periodo avrebbero potuto nuocere al popolo dei fedeli, perlopiù povero e malnutrito, così si unì alle richieste a Papa Leone XIII di una “dispensa” per i propri diocesani; “la Santa Sede colla sua consueta benevolenza, ascoltando le suppliche dei Vescovi di questa provincia ecclesiastica, ha benignamente concesso a tutti i diocesani (…) l’uso, nella prossima Quaresima, delle carni nei giorni comunemente detti di grasso, e l’uso delle uova e dei latticini nei giorni detti di magro. Sono eccettuati da questo indulto il mercoledì delle ceneri per i diocesani di diritto romano, e per tutti indistintamente i diocesani gli ultimi due venerdì di Quaresima (dunque il venerdì santo era escluso dall’indulto n.d.s.), nei quali dovranno usare cibi strettamente quaresimali o all’olio. (…) E’ poi sempre vietata la promiscuità di carne e pesce nella stessa refezione.” (tratto da “Domani Avvenne” a cura di Barbara Garavaglia).

Il divieto di cibarsi di alcuni alimenti durante la Quaresima ed in alcuni giorni particolari della stessa era un precetto così importante che la Santa Sede ritenne di compensare la concessione dell’indulto con l’obbligo, per chi se ne fosse avvalso, di visitare una volta alla settimana una chiesa nella quale fosse conservato il Santissimo Sacramento.

Giovanna Samà


 

14 Aprile – (S)punti di Vista: ogni venerdì la nuova rubrica curata da Giovanna Samà