Psicologia dello Sport nel cicloturismo – Parte 2^

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Eccoci dunque con la seconda parte dei micro-consigli per quella che abbiamo definito la gestione di un’attività di resistenza psicofisica, sull’arco di più giorni, in cui sono presenti dinamiche gruppali disposte su vari livelli (emotivo, relazionale, ruolistico-organizzativo): il cicloturismo – dalla Brianza a Roma.

Oggi parlerò di un solo aspetto, ma decisamente spinoso, uno che è in grado di trasformare un viaggio da sogno in un incubo senza uscita 

– Chi è il leader?

Eh eh, questa è tosta! Quando si è all’interno di un gruppo in brevissimo tempo si innescano delle dinamiche che portano pian piano alla definizione dei ruoli: un po’ per abitudine, un po’ per attitudine, si arriva alla fine ad avere una percezione di “chi fa cosa” e “chi decide cosa”. Se dovessimo riflettere in termini aziendali possiamo dire che tutto ciò è indispensabile anche solo per far funzionare il team, senza ruoli non si va da nessuna parte. In un gruppo di cicloturisti è altrettanto rilevante definire i ruoli ma, allo stesso tempo, è anche fondamentale… non farlo!

Detta così, l’affermazione è abbastanza ambigua, ma è… vera.

Il fatto è che esiste una variabile sostanziale e condizionante nel cicloturista: la stanchezza. E la stanchezza non è una cosa su cui si può tanto intervenire: quando sei cotto, sei cotto, è molto difficile andare avanti e pedalare. E la stanchezza è anche un limite pratico: non si riesce a pensare, organizzare, pianificare quando ne sei vittima. Siccome può colpire tutti, anche il leader (se presente nel gruppo), è essenziale avere un salvagente di sicurezza, un sistema d’emergenza. Ecco, nel nostro caso, siamo stati abbastanza saggi ancor prima di partire, definendo una serie di buoni propositi/regole da portare avanti “una volta là”.

La più banale e recitava più o meno così: “quando anche solo una persona dice di fare una sosta, sebbene sia già stata fatta in precedenza, o sia addirittura un problema per rispettare la tabella di marcia… beh, in ogni caso ci si ferma!”. Questa regola, che siamo riusciti ad instillarci prima di partire, ci ha salvati un sacco di volte ed è stato un valido sistema per la creazione del nostro leader di gruppo, che si è rivelato essere quasi sempre la persona che richiedeva la sosta e che quindi diversa di volta in volta.

Siamo usciti dallo schema del “leader come la persona più tosta” e siamo entrati nell’ottica del leader che cambia in funzione del momento e che quasi sempre è la persona in “difficoltà”. Il tutto ha senso però, perché il leader, in questo caso, è in effetti la persona che vive con maggior intensità e sensibilità il viaggio: è colui che in quel momento, di fatto, è pienamente ed eccessivamente sul pezzo!

Ecco quindi che l’automatismo della sosta obbligatoria ha un intervento diretto sulla situazione risolvendola:

1) si recupera fisicamente un elemento del gruppo, oltre che a dargli il pallino temporaneo del viaggio.

2) Non solo, si fa in modo che il gruppo stesso torni a focalizzarsi sull’idea di arrivare “tutti bene” fino in fondo, e non di partire all’arrembaggio senza un domani.

La leadership dinamica, basata sull’esigenza (e non sulla “forza”) è quanto di meglio si possa utilizzare in un viaggio del genere e porta davvero a vivere il percorso consapevoli delle necessità collettive, che vengono effettivamente fatte proprie. Inutile sottolineare come poi le scelte si rivelavano facili… e spesso nemmeno così importanti, perché il pensiero collettivo aveva il sopravvento sulle singole decisioni.

Ci ritrovavamo sempre in quello che noi definivamo impropriamente il “briefing”, ma che nella realtà dei fatti era un appello al voto su cosa fare nell’immediato futuro della tappa, però lo facevamo con la consapevolezza che qualunque scelta avessimo effettuato, a conti fatti, sarebbe stata accettabile e opportuna poichè l’approccio di tutti era sempre orientato al “bene del gruppo”.

Ed anche in quel caso era la “modalità del pellegrino” a farla da padrona.

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Dott. Mauro Lucchetta – Psicologo dello Sport

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