LECCO – Ben 5 mila posti di lavoro persi nel settore manifatturiero lecchese tra il 2009 e il 2014 e 2 mila nell’edilizia, con un tasso di disoccupazione complessivo che è passato dal 2% degli anni precedenti alla crisi ad oltre il 7% dello scorso anno, i giovani “NEET” (che non lavorano né studiano) sono passati dal 2% al 15% della popolazione giovanile (ovvero da meno di 1.500 a quasi 7.000): sono alcuni dei dati diffusi lunedì durante la presentazione “Il territorio e l’identitá di Lecco tra passato e futuro” prodotto dalla Camera di Commercio che raccoglie statistiche relative all’andamento economico della provincia dal 2000 ad oggi.
“Negli ultimi 15 anni l’economia lecchese ha conosciuto due fasi – ha sottolineato Gianni Menicatti, ricercato del Clas che insieme a Daniele Rusconi dell’ente bicamerale ha contribuito alla stesura del volume – una buona espansione fino al 2008, poi una fase di contrazione. Il saldo di questi 15 anni, nonostante tutto, è positivo: dei 110 indicatori economici presi in esame, 55 restano in crescita, 44 invece sono negativi”.
Tre le principali criticità rilevate dagli esperti: la caduta del PIL pro capite che nel 2014 è tornato ai livelli del 2004 (-16%), la disoccupazione che è stata frenata grazie ad opportunità lavorative fuori dalla provincia tanto che il numero di lecchesi inoccupati (3 mila) è inferiore rispetto al numero di posti di lavoro persi sul territorio, e la domanda di laureati da parte delle aziende ben al di sotto del numero di laureati presenti in provincia.
Dal 2009 al 2014, il numero di imprese registrate è andato lentamente riducendosi da 27.150 a 26.700 (-1,7%), ma paragonando quest’ultimo dato con quello del 2000 si è comunque verificata una crescita pari al 9,6%.
Anche le imprese artigiane registrate, dopo la crescita da 8.900 a 9.700 unità messa a segno nel periodo 2000-2008 (+9%), negli anni seguenti mostrano un trend negativo, perdendo circa 600 unità (-6%).
“Se l’industria ha saputo reagire meglio, riportando in positivo i livelli produttivi, meno hanno saputo fare le aziende artigiane che hanno subito maggiormente la crisi” ha proseguito Menicatti. Nel 2014 l’indice della produzione nel settore artigiano è calato di oltre 20 punti percentuali rispetto al 2008
“Il manifatturiero lecchese ha “lasciato sul campo” il 19% delle aziende – ha sottolineato il presidente della Camera di Commercio, Vico Valassi – in particolare il metalmeccanico ha perso il 12% e il tessile addirittura il 30%. Tuttavia, considerando le prime 50 aziende lecchesi per fatturato nel 2005, nel 2013 ben 34 figuravano ancora nel ranking, e solo 5 hanno cessato l’attività: dunque chi ha sofferto di più sono le imprese piccole e poco internazionalizzate”.

Nei primi nove mesi del 2015 sono state 1.177 le iscrizioni nel Registro lecchese (-1,5% rispetto allo stesso periodo del 2014), a fronte di 1.047 cessazioni (-3,3%; il dato non comprende le cessazioni d’ufficio pari a 235 unità). Il saldo è positivo per 130 unità (contro le +112 dello stesso periodo del 2014).
Non è stato sempre così: il momento più critico il 2013, quando le imprese cessate hanno superato le nuove.
L’export, come accennato dal presidente Valassi, ha rappresentato un’ancora di salvezza per le imprese lecchesi per un valore di oltre 3 milioni nei soli primi nove mesi dello scorso anno, in aumento del 9,3% rispetto allo stesso periodo del 2014. Europa, America settentrionale ed Asia le aree con le quali le imprese lecchesi commerciano maggiormente.

“Oggi Lecco è una terra di mezzo, in sospeso tra il ‘non più’ e il ‘non ancora’ – ha spiegato Simone Bertolino del Consorzio AASTER – Più che una crisi, stiamo vivendo una fase di transizione sia manifatturiero, nel terziario e nel sociale”

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