RUBRICA – Cari amici, ho da poco ricominciato i miei “banchi d’assaggio”, che sono la mia fonte d’ispirazione, e riprendo a parlarvi di vino dopo un periodo “sabbatico” piuttosto lungo che ha suscitato un minimo di preoccupazione a chi è interessato a questa rubrica.
Lo faccio un po’ in controtendenza ricominciando dal Pinot grigio, un’uva internazionale, che in passato è stata molto in voga, ma che recentemente sembrava finita nel dimenticatoio perché l’interesse maggiore si è di gran lunga rivolto ai vitigni autoctoni.
Innanzi tutto il Pinot grigio è un uva rossa, deriva infatti da una mutazione genetica del Pinot nero, ed è originario della Borgogna.
In Italia si è ampiamente diffuso, soprattutto nel periodo post-fillossera, nel Triveneto in molti casi a scapito di specie territorialmete più vocate.
In Europa è diffuso anche in Francia (Tokay-Pinot gris d’Alsace), in Germania e Austria (Rulander) e in Ungheria (Szurkebarat)
Qui da noi è stato molto di moda soprattutto negli anni 70/80 vinificato nella versione “ramato”, con un leggero contatto delle bucce durante la fermentazione che gli conferisce questa particolarissima tonalità. A tal proposito ricordo persino il periodo della “naja” negli alpini, che sono da sempre esempio di generosità ma anche protagonisti di generose bevute, e il Pinot grigio “ramato” del Collio Goriziano era in assoluto il più gettonato. In pochi anni questa versione è letteralmente scomparsa, lasciando il posto al prodotto realizzato con la totale vinificazione in bianco, perdendo piano piano la sua originalità accomunandosi ad una miriade di altri prodotti similari.
Recentemente diversi produttori, soprattutto Friulani, hanno pensato bene di ridare visibilità ad un vino, in caduta libera soprattutto sul mercato interno, con il ritorno alla versione “ramato” o il miglioramento della versione in bianco utilizzando le più moderne tecniche di vinificazione ed affinamento.
Sono comparse anche numerose versioni di “ramato biodinamico” ma in questo campo ho giurato di non esprimere giudizi perché, dopo tanti anni d’esperienza, non riesco ancora a capire cosa è “particolare” (sempre) e cosa è “piacevole” (quasi mai).
Veniamo al sodo: il pinot grigio è un vino fruttato, equilibrato ed elegante, non particolarmente longevo e non ama l’eccessiva presenza dei sentori delle botti di rovere. Con la macerazione delle bucce emergono anche lievi note di piccoli frutti rossi e un minimo di astringenza.
Come ho già accennato in precedenza la terra di elezione per questo vitigno è il Friuli, soprattutto Collio e Isonzo, ma ho assaggiato ottimi pinot grigio anche di altre provenienze come Il Pinot Grigio S.Antimo di Col D’Orcia o il Pinot Grigio “Aristos” Cantina Valle Isarco.
Tra i Friulani recentemente degustati mi son piaciuti il “ramato” di Di Lenardo e quelli di Vistorta e Altùris nella fascia sotto gli 8 euro, e poi Colutta e Ronco del Gelso nella fascia intermedia.
Stupefacente è stata la comparativa, che poi mi ha spinto a parlarvi del pinot grigio, fra il “Dessimis” vinificato ramato di Vie de Romans ed il “Gris” vinificato bianco di Lis Neris 2013: tanto diversi quanto eccellenti. Entrambi eleganti, decisamente strutturati, giusta presenza del legno in cui sono stati affinati, potenziale tenuta
ancora per qualche anno , per cui un esempio di finezza, complessità e potenza.
Per ciò che concerne gli abbinamenti, un buon pinot grigio lo vedrei bene sui primi piatti, soprattutto risotti vegetariani e paste ripiene. Come abbinamento di territorio vedrei bene un P.G. Friulano col prosciutto di S.Daniele e arriverei alle carni bianche come ad esempio un vitello tonnato.
Per la cronaca con i due Pinot grigi comparati in precedenza, il buon Christian della salumeria Filet mi ha affettato una pancetta di Sauris da “maiale pesante” davvero da urlo!
Assaggiare per credere… e scusate il ritardo
Roberto Beccaria
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