GIOVEDÌ 23 giugno 2011, alle 21, fari puntati su Gianni Rusconi all’interno della rassegna “A tu per tu con i grandi dello sport” targata Sport Specialist.
Gianni Rusconi: indiscutibile protagonista di una lunga stagione e di una specializzazione che merita una lettura sempre più ampia e approfondita della sua intensa storia, come “Cacciatore delle grandi invernali”, un titolo che giustamente lo deve riempire di orgoglio, perché nessun altro alpinista se lo può attribuire nella medesima misura e nello stesso spirito.
Si pregiano di organizzare la serata df Sport Specialist, Blufrida e A.G. Bellavite, lieti anche di offrire a tutti gli intervenuti il loro tradizionale buffet.
Il negozio rimarrà eccezionalmente aperto fino alle ore 23.
Renato Frigerio presenta Gianni Rusconi
“Non potremo essere accusati di esagerazione se presentiamo il prossimo protagonista degli incontri organizzati da df Sport Specialist, con cui collaborano anche Blufrida e A. G. Bellavite, come un alpinista incomparabile, un esemplare che non ha confronto.
Non ci permetteremmo mai di assolutizzare l’affermazione, quasi intendessimo vedere in lui uno tra i più grandi alpinisti di ogni tempo: questi devono essere ormai ricercati tra i veri professionisti, e siamo certi allora che a scandalizzarsi di questo fraintendimento, per primo e più di tutti, sarebbe proprio lui, Gianni Rusconi. Il merito ed il valore che gli attribuiamo deriva invece da considerazioni di carattere relativo, che prese però nel loro insieme riescono a far pendere la bilancia a suo favore. Siamo infatti abituati ad applaudire i grandi campioni dell’alpinismo per tante imprese che hanno dell’incredibile, circondate dal fascino di un obiettivo prestigioso, da una tecnica insuperabile, da qualità quasi sovrumane richieste per raggiungere conquiste fantastiche. Occorre tuttavia considerare il vantaggio di cui beneficiano tutti questi campioni, che nella loro condizione di professionisti dell’alpinismo possono disporre di mezzi grandiosi e soprattutto di margini illimitati di tempo per prepararsi, per allenarsi e per rimanere a lungo fuori sede.
Con questa differenza si evidenzia appunto uno dei valori relativi che promuovono la posizione in cui si è collocato Gianni Rusconi, un giovane che, allora non ancora ventenne, era impegnato ogni giorno in un lavoro dipendente, da cui ci si poteva sottrarre a fatica e con enormi sacrifici, cercando perfino di allungare gli striminziti giorni di fine settimana utilizzando al massimo anche le ore notturne. È anche alla luce di questi problemi e di questi sacrifici che è indispensabile leggere la storia delle salite, che sfiorano l’incredibile, di Gianni Rusconi: una storia che contempla le sue grandiose imprese ingigantite dalla loro specifica tipologia, che costringe ad arrampicare nell’ambiente più severo ed ostile, tanto da scoraggiare la maggior parte di coloro che pur non esitano a fare pazzie per l’alpinismo. Ebbene, è proprio qui che è caduta quell’altra scelta dell’allora giovanotto di Valmadrera: una scelta sempre relativa, che contribuisce ad esaltare le sue eccezionali qualità, perché ha voluto arrampicare quasi esclusivamente per la conquista delle vie invernali, mirando soprattutto a guadagnarsi questo merito in rapporto a vie tra le più difficili e rinomate. Solo ascoltando dalla sua voce si potrà comprendere che cosa significa e comporta scalare in invernale una grande parete, tenersi abbarbicati per giorni alle loro lastre ghiacciate nel timore di venire strappati dall’impeto dei venti, passare insonni intere nottate, investiti da gelide bufere di neve, a 40 gradi sotto lo zero, assordati dal rumore fragoroso e minacciante di slavine e valanghe. E prima ancora di questo, dover affrontare la fatica immane di giungere ai piedi della parete con una marcia lunga ed estenuante, sprofondando nella neve fino alla cintola. Lui ci racconterà tutto con modestia e noncuranza, quasi che ogni sofferenza e perfino il dolore del congelamento tendesse a sparire di colpo non appena raggiunta la meta: una meta che veniva gustata e donava gratificazione solo per quell’attimo della vittoria, e che non aveva nulla a che vedere con fama e prestigio, e tanto meno con nessun vantaggio economico.
Cos’è dunque che ha spinto questo giovanotto che, nato a Valmadrera nel 1943, solo nel 1961 si indirizzava timidamente alla montagna, per arrivare poi presto alla decisione di dedicarsi sì all’arrampicata, ma prendendola come ispirazione di vita e nel suo lato più duro e difficile da sopportare? Possiamo trovare due risposte diverse, come diversi sono i due interrogativi: innamorarsi della montagna come ricordo amorevole e come atto dovuto al fratello Carlo, che alla montagna aveva dato la vita mentre stava arrampicando in Grignetta. E nella forma più dura, forse perché Gianni aveva conosciuto quanto può essere tremenda la vita, e quanta forza d’animo richiede, già dalla prima infanzia.
Aveva appena quattro anni, quando l’improvvisa e prematura morte del padre anticipava solo di pochi anni quel dolore più profondo e cosciente per la morte del fratello Carlo, che per lui aveva nel frattempo rivestito la figura e il ruolo di padre. Quest’ultima tragedia collocava Carlo prima come riferimento orientativo, e in seguito come pungolo e sostegno nei momenti più difficili e risolutivi della sua attività alpinistica, che brillava per numerose e subito prestigiose invernali. Lui poi anche qui non si sentirà mai soddisfatto pienamente fino a quando sarà riuscito a dedicare a Carlo un’autentica impresa, quella che ora da tutti è conosciuta come “La via del fratello”. Potrà togliersi questa soddisfazione, che è una specie di debito, nel 1970, scalando in pieno inverno, e pure come prima assoluta, il pilastro Estnordest del Pizzo Badile, avendo come unico compagno di cordata un altro dei suoi fratelli, Antonio.
Il semplice scorrere l’elenco delle sue invernali, dove, oltre al nome dell’inseparabile Antonio, figurano spesso anche quelli dei suoi amici più cari, quali Crimella, Villa, Tessari – il famoso team dei “5 di Valmadrera” – e di altri affiatati compagni, come Fabbrica, Steinkotter, Gianluigi Lanfranchi, Robi Chiappa, Piero Ravà e Paolo Crippa, suscita ancora enorme emozione e rispettosa ammirazione. Tuttavia solo il suo racconto, caldo, e ancora fresco nonostante che dai tempi più belli siano ormai trascorsi una trentina d’anni, potrà rivelarne il senso, l’importanza e l’irripetibilità. Solo da lui potremo comprendere cosa sia costato, in termini di tempo, di rischio, di sofferenza e di ostinata determinazione, scalare in invernale delle vie come quella sulla parete Sud della Torre Trieste, come la via delle Guide al Crozzon di Brenta, come il diedro Philipp-Flamm di Punta Tissi in Civetta, come quelle che sono anche prime assolute sul pilastro Estnordest del Pizzo Badile, sulla parete Nord del Pizzo Cengalo, sulla parete Nordovest del Monte Civetta, tanto per doverne citare alcune.
Grande e ammirevolmente responsabile Gianni Rusconi nella decisione che, dopo oltre un decennio di attività, inverosimilmente intensa e rischiosa per uno sportivo dilettante, gli consente di trovare il coraggio di chiudere anzitempo con un impegno che privava i suoi familiari di una compagnia più completa ed assidua. Non per questo però avrebbe potuto attaccare le scarpe al chiodo in modo assoluto e definitivo: la montagna e l’arrampicata, naturalmente adeguandosi al peso degli anni che si sommano per lui come per tutti, hanno continuato a far parte della sua passione e delle sue abitudini, come un pensiero fisso.
Ed è forse per questo che ci è consentito immaginare che sia proprio lui, più di tutti noi, ad attendere con impazienza le ore 21. di giovedì 23 giugno, per rivedersi nel racconto nostalgico com’erano belli quegli anni in cui lui si dimostrava l’accanito “cacciatore delle grandi invernali”.
Sarà una nuova occasione che ci farà sentire grati a df Sport Specialist, a Blufrida e ad A.G. Bellavite, che ci procurano questo revival di uno dei decenni più gloriosi ed appassionanti dell’alpinismo lecchese, con un invito che include come sempre la partecipazione all’abituale, saporito buffet”.