Grazie al creativo Giuseppe Villa la meraviglia entra nell’oncologia dell’ospedale di Lecco

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Presentato il progetto Wunderkammer: un lavoro che parte dalle parole per arrivare alle emozioni

“Abbiamo cercato di creare spazi di bellezza che potessero dialogare con il contesto di un luogo tanto particolare”

LECCO – Può un reparto di oncologia diventare una “camera delle meraviglie”? Messa così sembra un controsenso, ma a spiegare la finalità del nuovo progetto che ha preso vita all’interno dell’ospedale di Lecco è lo stesso primario Antonio Ardizzoia: “Quando un paziente varca una porta con la scritta oncologia pensa che lì dietro ci sia l’inferno dantesco, ma ciò che presentiamo oggi è l’esatto opposto. E’ chiaro che gli ammalati non vorrebbero essere qui, ma è importante cercare di fargli vivere con serenità questi momenti. Il senso del progetto è proprio questo”.

Elena Rusconi, Giuseppe Villa e Marco Trivelli

L’idea è nata per caso grazie all’amicizia di lunga data tra il coordinatore infermieristico del reparto Elena Rusconi e il creativo lecchese Giuseppe Villa. Ciò che è scaturito ha preso il nome di “Wunderkammer”, espressione tedesca utilizzata per indicare particolari ambienti in cui, dal XVI al XVIII secolo, i collezionisti erano soliti raccogliere oggetti straordinari.

“Tutto è partito un paio di anni fa quando, grazie ai fondi messi a disposizione da Inprimalinea Onlus, c’era la possibilità di ritinteggiare il reparto – ha spiegato Elena Rusconi -. Ho chiesto una consulenza a Giuseppe Villa, amico da una vita, che proprio in quei giorni ha affrontato un periodo in ospedale. Da lì è nata l’idea di personalizzare le pareti con il contributo delle persone che quotidianamente vivono questi spazi, sia pazienti che personale. Con un grande lavoro di squadra siamo riusciti a rendere questo posto unico”.

“Abbiamo cercato di creare spazi di bellezza e meraviglia che potessero dialogare con il contesto di un luogo tanto particolare come il reparto di oncologia – ha spiegato il creativo Giuseppe Villa -. Per farlo abbiamo raccolto in un totem tutte le parole che potessero raccontare questo luogo, abbiamo chiesto a pazienti e lavoratori di scriverle su un biglietto. Sono uscite tante parole, tra le più disparate: parole di dolcezza, speranza, ma anche rabbia e perfino insulti. Abbiamo scavato senza censura tra quasi 150 parole e, attraverso gruppi di lavoro che hanno coinvolto tutto il personale, ne abbiamo scelte 12”.

Cammino, attesa, rabbia, incontro, tempo, ascolto, smarrimento, fatica, abbraccio, sorriso, gentilezza e fiducia: “Siamo partiti dal significato del vocabolario per andare oltre e cercare legami con immagini, canzoni, luoghi del cuore, nonché detti e parole dialettali che creano un legame col territorio in cui viviamo – ha continuato Villa -. Tutto questo è stato collegato con un filo, concreto, che unisce tutte questa serie di piccole opere che vogliono creare stimoli e occasioni di meraviglia in chi frequenta quotidianamente questi spazi”.

Non è stato facile fare sintesi tra la miriade di emozioni che hanno guidato ciascun membro del gruppo di lavoro in un percorso di condivisione e riflessione. E forse, proprio per questo, c’è una tredicesima parola “dolore” che è stata un attimo messa da parte e non ha ancora trovato una collocazione: “Anche perché ci piace pensare che questo progetto sia in itinere e possa evolversi nel tempo”.

“In questo progetto c’è l’evidenza che una grande competenza nella cura, qualità che non manca a nessuna delle persone che vedo qui oggi, non è abbastanza – ha detto il direttore generale Marco Trivelli -. Ci vogliono tante altre attenzioni e queste 12 parole sottolineano proprio questo aspetto. Un direttore non può che essere contento e confortato nel vedere iniziative come queste”.

Anche se tutto può sembrare casuale e disordinato, ogni cosa ha un senso e nel racconto si può capire come è stato concepito il progetto e come si è sviluppato. Una cosa ci ha colpito particolarmente, quando abbiamo visto il muro su cui è rappresentata la parola “rabbia” abbiamo visto un’opera strappata e una cornice rotta con un pugno. Non è stato nulla di studiato a tavolino, ma lo sfogo vero di una persona probabilmente in un momento di sconforto, ma l’arte serve proprio a questo e lì dentro c’era sicuramente l’interpretazione più vera…