‘Ndrangheta a Lecco: il ‘boss’ Vallelonga condannato a 20 anni

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Cosimo Vallelonga

Il giudice ha inflitto a Cosimo Vallelonga una pena più alta rispetto a quanto chiesto dal pubblico ministero

‘Ndrangheta a Lecco: la sentenza del tribunale di Milano

LA VALLETTA – È stato condannato a 20 anni di reclusione con il rito abbreviato Cosimo Vallelonga, 72enne, casa a La Valletta Brianza, ritenuto dagli inquirenti il nuovo boss della ‘ndrangheta lecchese.

L’uomo, già condannato per associazione mafiosa nell’operazione “I fiori della notte di San Vito” negli anni Novanta e per la maxi indagine “Infinito” del 2010, era stato arrestato a febbraio nel corso di un maxi blitz che aveva visto coinvolto il personale della Squadra Mobile della Questura di Lecco e i Nuclei di Polizia Economico-Finanziaria (G.I.C.O.) di Milano e di Lecco, nell’ambito di un’indagine denominata Cardine Metal Money coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Milano.

Nell’immagine l’intercettazione di un incontro tra i criminali e un imprenditore vessato

18 i destinatari dell’ordinanza di custodia cautelare emessa dall’Ufficio GIP di Milano (dieci in carcere ed otto agli arresti domiciliari) per associazione di tipo mafioso, associazione per delinquere finalizzata al traffico illecito di rifiuti, frode fiscale, autoriciclaggio, usura ed estorsione.

Vallelonga era considerato al vertice di questa organizzazione imputato per i reati di associazione di tipo mafiosa, usura, estorsione e altri reati di tipo ambientale. La nuova indagine ha portato alla ribalta come Vallelonga non avesse mai smesso di essere, nonostante gli anni di carcere e le misure di sorveglianza speciale a cui è stato per diverso tempo sottoposto, un punto di riferimento nel panorama della ‘ndrangheta, mantenendo rapporti sia con esponenti di rilievo della ‘ndragheta calabrese ricevendo e inviando ambasciate, sia con quelli operanti in Lombardia come Giorgio Novembre e il calolziese Pierino Marchio, condannato in Oversize e padre di Vincenzo, finito in manette insieme a Vallegonga.
Sottoposto, una volta uscito dal carcere, a limitazioni alla libertà personali tra cui la
sorveglianza speciale e la libertà vigilata legate alle precedenti condanne, il calabrese aveva
di fatto trasformato il locale di arredamento Arredomania, situato in via Statale a Perego
nello stesso stabile che ne ospita la residenza, nel quartier generale dell’organizzazione
mafiosa che lo vedeva all’apice.

Qui, pensando di non essere sottoposto a intercettazioni ambientali, parlava in maniera  diretta ed esplicita con i suoi sodali degli affari da effettuare, impartiva ordini e dirimeva controversie anche con terze persone. Sua, sempre secondo gli inquirenti,  “regia” anche nella nascita di diverse società di comodo, attribuite a prestanomi che servivano per effettuare il traffico illecito di rifiuti e le false fatturazioni oltre che per occultare gli ingenti proventi illeciti conseguiti, reinvestiti anche in altri settori o prestati a imprenditori a tassi usurai.

Quest’oggi, venerdì, così come riferisce l’agenzia  Agi, il  gup Manuela Cannavale ha inflitto nei suoi confronti una pena più alta rispetto ai 17 anni e 2 mesi richiesti dal pm Paola Biondolillo. Insieme a Vallelonga sono stati condannati per mafia anche Vincenzo Marchio a 12 anni (il pm ne aveva chiesti 11) e il calolziese Paolo Valsecchi, ritenuto il braccio destro del boss, a 8 anni, sei mesi e 20 giorni (il pm aveva chiesto 10 anni e 8 mesi).

Dei restanti 15 destinatari della misura cautelare eseguita a febbraio 2021, sette – riporta l’Agi – sono stati condannati a piene più lievi in abbreviato mentre gli altri otto hanno patteggiato. Un risarcimento di cinque mila euro è stato infine riconosciuto a WikiMafia, unica parte civile costituitasi al processo e rappresentata dall’avvocato Marco Griguolo.