LECCO – E’ stata introdotta oltre un mese fa la NASPI, così come è stato battezzato l’ammortizzatore destinato a chi ha perso il lavoro, ma delle domande finora presentate a Lecco nessuna sarebbe ancora stata evasa dall’Inps: il problema, spiegano dal patronato della Cgil, è che l’istituto di previdenza lecchese, così come molte sedi Inps di altre città, non avrebbe ancora a disposizione la procedura telematica per scaricare le richieste e quindi per poterle liquidare.
“Dal 1° maggio all’8 giugno abbiamo già inviato 113 domande per la NASPI ma l’Inps non può ancora scaricarle per un problema telematico. Sappiamo che solo alcune sedi pilota in Italia hanno a disposizione questa procedura che però presenterebbe diverse criticità. Ad oggi non ci è stato detto quando le domande potranno essere liquidate”.
Il caso è stato sollevato da Cinzia Gandolfi, direttrice del patronato INCA di Lecco, nella conferenza stampa che la Cgil ha organizzato mercoledì mattina per sottolineare le criticità emerse con questo nuovo tipo di ammortizzatore dedicato ai disoccupati.

“Come sindacato stiamo monitorando gli effetti del Jobs Act e dei decreti attuativi – ha spiegato il segretario provinciale della Cgil, Wolfango Pirelli – ed uno di questi è proprio legato alla NASPI sulla quale il nostro giudizio è fortemente critico in quanto provocherà una diminuzione della copertura, nel tempo e in termini economici, dell’indennità”.
Dal 1 maggio la NASPI sostituisce l’ASPI e la mini ASPI che erano state introdotte nel 2013, a loro volta in sostituzione della richiesta di disoccupazione ordinaria e a requisiti ridotti.
Il requisito contribuito che era previsto con l’ASPI era quello di aver lavorato almeno un anno negli ultimi due e copriva un periodo di disoccupazione pari a 8 o 12 mesi in base all’età anagrafica del lavoratore (maggiore per gli ultra 50enni).
La nuova NASPI, come ricordato dalla direttrice del patronato INCA, non fa differenze d’età e prevede come requisito 13 settimane di contribuzione nei quattro anni precedenti alla perdita del lavoro e che si abbia lavorato almeno 30 giorni nell’ultimo anno; l’ammortizzatore garantisce un periodo di indennità pari alla metà dei giorni lavorati negli ultimi quattro anni, fino ad un massimo di 24 mesi (nel 2017 il tetto scenderà ai 18 mesi).
“Se apparentemente viene allargata la copertura – ha sottolineato Gandolfi – non sarà così perché il nuovo ammortizzatore prevede da subito che il periodo in cui il lavoratore ha fruito della NASPI negli ultimi quattro anni venga sottratto ai giorni effettivamente lavorati, provocando quindi una riduzione nel periodo di indennità che l’INPS concederà al disoccupato. Il problema riguarda in modo particolare per chi vive con contratti precari e quindi è spesso soggetto alla perdita dell’impiego”.
Inoltre, ha spiegato la direttrice del patronato, l’assegno di disoccupazione nei primi tre mesi avrà un importo pari al 75% della retribuzione mensile ( quando quest’ultima corrisponde ad un massimo di 1195 euro) , ma dal quarto mese fino alla sua completa liquidazione l’importo si ridurrà ogni mese del 3%.
“Un’altra differenza rispetto al passato – ha concluso Gandolfi – è che se il periodo di disoccupazione valeva ai fini dei contributi pensionistici, con la NASPI è stato fissato un tetto massimo di 22 mila euro annui. Temiamo quindi possa verificarsi un danno pensionistico che attualmente non è possibile quantificare”.
In questo periodo transitorio, chi ha perso il lavoro entro il 30 aprile potrà usufruire della vecchia ASPI e lo stesso può fare chi ha aperto e sospeso la procedura con il vecchio ammortizzatore. Da gennaio a giugno, sono state ben 1144 le richieste dell’indennità di disoccupazione inoltrate dal patronato della CGIL.

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