In merito al Piano di Valorizzazione dei Beni comunali presentato dall’Amministrazione comunale guidata dal sindaco Virginio Brivio e illustrato la scorsa settimana alla cittadinanza in sala consiliare, riceviamo e pubblichiamo:
“Ho partecipato, invitato, all’incontro promosso dall’Amministrazione per la presentazione del Piano delle alienazioni e valorizzazione dei beni immobili comunali. L’incontro, quello di giovedì, aperto alle associazioni col fine, sulla carta, anche per raccogliere proposte e suggerimenti.
L’incontro è stato abbastanza partecipato. Diverse, infatti, erano le realtà presenti, quelle che hanno locali del Comune in affitto, altre che lavorano con lo stesso e altre ancora che aspira(va)no ad averla una propria sede in locali del Comune. Cioè, mi si scusi l’arroganza, più per interessi particolari che collettivi.
Nella sostanza però il tutto si è rivelato più un tentativo di misurare il polso, per un’alienazione auspicata da parte del Comune con una ricerca di legittimazione.
Se il Comune ha idee diverse dall’alienazione o dismissione non si è ben colto, nel suo asse esplicito e portante. Se si deve vendere, se si è deciso di vendere, allora si venda alla città, ai cittadini.
Sono stati mostrati i beni alienabili e quelli “appaltabili” in cambio però della loro ristrutturazione. Una manciata o poco di più di beni che cozza sullo scopo dichiarato dell’incontro.
Beni troppo pregiati/simbolici per esser venduti (Villa Guzzi, Villa Ponchielli, complesso Bione) e beni troppo irrisori o malandati o vincolati per ricavarci seri proventi dalla loro dismissione (23 lavatoi, l’ex asilo notturno di Pomedo e l’ex Cinema Lariano).
La polpa, la ciccia, per far cassa restano il Palazzo Ghislanzoni (avuto in donazione) di via Roma 51 e il Palazzo ex Artistico di Via Sassi dove ci sono diversi uffici comunali.
E proprio qui si aprono alcune strade che il Comune farebbe bene ad esplicitare per evitare incontri che vorrebbero richiamare la trasparenza della prassi, del metodo, ma che, invece, rischiano di essere incontri vuoti, formali, che giocano con le parole. Basta vedere il Palazzo delle Paure – nei fatti nuovamente abbandonato – a cui non è ancora stata scelta una destinazione d’uso.
L’Amministrazione vuole, ha deciso, di trasferire in altra sede – in un’unica sede – gli uffici, le attività del Comune? Se ha deciso per il si, come sembra, il dovere di queste riunioni con le associazioni non si pone mica poi tanto. Come la si paga la sede nuova che soldi non ce ne sono nemmeno per gli autobus e la mensa scolastica? Che non ce ne sono nemmeno per salvare il simbolo turistico di Lecco quale è Villa Manzoni? Facendo operazione di permuta e scambio?
Per vendere il Palazzo di via Sassi ovvio che devi trasferire gli uffici ora li presenti.
Dove? Nella sede attuale della Banca Popolare in Piazza Garibaldi? Nel temporaneo Nuovo Tribunale? Nella terza o quarta Torre della Meridiane?
E se devi pagare uno di questi nuovi palazzi vendendo/scambiando i beni comunali attuali poco o nulla resta.
Nell’attesa che ce lo dicano, non sembra fattibile l’accollo degli stabili da parte delle associazioni.
Anche pensando, infatti, di avere in comodato d’uso gratuito per le associazioni alcuni stabili in cambio delle spese di adeguamento a norma e di ristrutturazione, questo preclude la possibilità di partecipare all’assegnazione alla quasi totalità delle realtà associative della Città che difficilmente potranno farsi carico di costi non indifferenti. Essendo, come risaputo, moltissime rette solo grazie al volontariato gratuito.
Allora l’invito in realtà è diretto a sollecitare ben altri soggetti? Quelli economici e imprenditoriali?
Se così non fosse come si può mantenere un bene in dotazione al pubblico per una valorizzazione ad utilità sociale?
Essendo la situazione e la società figlia di questi tempi è da ritenere, purtroppo, marginale, improbabile, l’intervento di un mecenatismo della borghesia lecchese, dei capitani d’industria del terzo millennio. I Badoni, i Bovara, i Fiocchi, i Guzzi, i Beretta, nemmeno nelle valenze sociali e civiche odierne se ne vedono all’orizzonte.
Allora auspicando che prima di impegnarsi nella trattativa di cambio sede del Palazzo – si inizi a mettere testa e tempo vero in progetti intensi di alfabetizzazione elettronica e telelavoro che ne ridurrebbero di molto la necessità e paventata urgenza di trasferimento e contemporaneamente si realizzino interventi ecologici/redditizi, a costo zero, grazie alle Esco, le società private che permettono risparmi economici di ampia importanza – credo che forse si possono e si debbono valutare forme di sostegno al mantenimento dei beni del Comune e la loro contemporanea valorizzazione pubblica e sociale con altri interventi che non sono le vendite e le dismissioni.
Anche perché è quantomeno bizzarro valorizzare beni pubblici vendendoli.
E allora perché non battere altre strade, complementari, da sperimentare, da preferire, da considerare almeno, come per esempio i percorsi degli ATU (ambiti di trasformazione urbana), nel PGT in approvazione.
Ce ne sono ben 19 e, semplificando, sono una partita di giro. Io pubblico ti autorizzo a te privato a trasformare delle zone, delle aree, in cambio mi dai oneri urbanistici, opere e servizi. Ecco partiamo da qui: alziamo la posta per lo scambio.
E soprattutto utilizziamo la leva della compensazione ecologica preventiva, cioè prima privato fai i servizi e le opere di interesse pubblico (quindi anche mettere a posto gli stabili dismessi del Comune) e solo poi fai le tue opere che ti abbiamo approvato.
Ma si può anche pensare altro. Perché con attenzione e prudenza, non si studia anche di creare un supporto finanziario per questi – e altri – beni dei Comune?
Se come sembra la priorità del Comune non è la conservazione, come infatti ribadisce il Sindaco: “anche se Tremonti ci dà i soldi domattina la nostra priorità non è quella di metterli nella valorizzazione degli immobili”, seppur noi ancora basiti basta dirlo.
Vuoi vendere? Bene, “vendi” ai cittadini.
Con un fondo immobiliare chiuso a lunga durata, a maggioranza comunale eventualmente, dove le singole quote vengono messe in vendita ai cittadini e con questi proventi si ristrutturano gli immobili da ristrutturare. Si fanno confluire, per redditività, tutti gli affitti attuali e i progetti (anche economico-sociali) di post-recupero raccolti in un lasso di tempo più lungo che i pochi mesi attuali. Ora un piano di svendita sembra pure al ribasso.
Questo percorso di sostegno lo si può fare anche usufruendo dei più semplici Certificato di deposito dedicati che, attraverso un fondo di garanzia moltiplicatore, dato dal valore dei beni stessi, una banca, Banca Etica ( o con un’integrazione al Bando per la Tesoreria che lo rende condizione per l’assegnazione del servizio) faccia da catalizzatore dei risparmi dei cittadini o di altri Enti che al posto di tenerli inutilizzati li investono a tasso fisso appunto in CD? Fors’anche si può pensare al pagamento non solo di cedole in denaro reale ma con interessi sociali, servizi comunali.
Certo se poi la vendita è la priorità del Comune basta dirlo. Ma si venda alla città e non la Città.”
Paolo Trezzi