“Bisogna non cedere sul desiderio di scommettere sull’esistenza del soggetto laddove tutto permetterebbe di dimenticarlo molto facilmente.” In questa frase dello psicoanalista francese Eric Laurent si condensa, a mio parere, lo spirito che anima un certo tipo di approccio alle diverse forme di disagio esistenziale che abitano il panorama sociale contemporaneo.
Tossicomania, anoressia-bulimia, dipendenze patologiche, depressione, disabilità sono alcune delle problematiche che, pur nella loro evidente eterogeneità, condividono la caratteristica di mostrare lo statuto di estrema passività dell’individuo.
Tante soggettività, si potrebbe dire, potenziali ma abolite, talvolta negate, assoggettate…in una maniera o in un’altra.
In questo senso, quale esempio migliore della disabilità mentale?
Il portatore di handicap infatti si candida come colui che può mostrarci, in modo lampante, il dramma di un’esistenza presa nell’impossibilità di separasi dalla gabbia del proprio male e dalla dipendenza da qualcuno a cui spesso si trova delegata la propria vita.
Cosa può fare allora chi, a diverso titolo (famigliari, operatori, volontari…), si trova nella posizione del delegato?
Accettare questa delega è l’unica possibilità?
Per testimoniare la possibilità di una risposta diversa, che punti a tenere viva la speranza che possa esistere un modo per difendere la dignità del disabile, rivolgeremo alcune domande alla Dott. ssa Elena Veri, psicologa che da anni coordina insieme alla collega Stefania Piffaretti un Servizio di Riabilitazione Equestre (Lu.Po.R.E.) afferente al Consorzio Servizi Sociali dell’Olgiatese. Un maneggio frequentato da circa settanta soggetti con ritardo mentale, bambini ed adulti, che svolgono una terapia insieme al cavallo.
Dott. ssa Veri, sulla base della sua esperienza, quale idea si è fatta della disabilità mentale?
La disabilità è una condizione di estrema dipendenza del soggetto dall’altro. Le persone affette da insufficienza mentale presentano delle difficoltà non solo cognitive, ma più ampiamente esistenziali. Nei casi più gravi necessitano di essere seguiti anche nelle azioni più semplici, come alimentarsi, vestirsi ecc.. Chi se ne occupa deve fungere da sostegno per consentire al disabile di non smarrirsi in un mondo troppo complicato da affrontare da solo. Parallelamente però bisogna prestare attenzione affinché le persone che a diverso titolo se ne prendono cura, offrendo il loro fondamentale sostegno, non finiscano per sostituirsi al soggetto disabile. Egli rischierebbe così di divenire oggetto delle scelte altrui, risultando fagocitato doppiamente dalla malattia. Al contrario il disabile va affiancato nel trovare delle espressioni singolari della propria soggettività.
In cosa consiste il trattamento che viene svolto nel Servizio di Riabilitazione equestre? A quale logica si ispira?
Il servizio di RE ha un vantaggio rispetto ad altri trattamenti riabilitativi: vi accedono infatti bambini e adulti che hanno una passione o un interesse per il cavallo. Questo consente un’agevolazione rispetto alle possibilità benefiche del trattamento stesso, dimostrando al contempo come risulti essenziale per l’essere umano in quanto tale, presunto “normale” o disabile che sia, il potersi sperimentare in qualcosa che dia felicità e soddisfazione, pur implicando costanza ed impegno.
La logica a cui si ispira il nostro modo di lavorare è quella di considerare due fattori contemporaneamente:teniamo conto delle difficoltà per così dire strutturali del soggetto ma al contempo cerchiamo con lui delle vie per trovare qualcosa di vitale e proficuo al di là di esse. Il soggetto non è l’autistico, il down, l’iperattivo ma Andrea, Patrick, Alessia nella loro propria particolarità. Non esiste inoltre una terapia a cavallo uguale per tutti, ma ognuno è accompagnato nel creare il proprio modo di relazionarsi al cavallo e alla terapista.
Quali sono i modi per entrare in rapporto con un soggetto disabile e cosa consiglierebbe a chi volesse avvicinarsi a questa realtà o a chi ne volesse sapere di più?
Consiglio di fare volontariato in strutture preposte all’accoglienza e alla cura di tali soggetti, come ad esempio i Centri per Disabili o le Comunità. Poi ci sono dei bei libri ad orientamento psicoanalitico a cui si può fare riferimento. A mio avviso la predisposizione al voler fare un buon incontro con loro è già un buon punto di partenza.
Coloro a cui piacciono anche i cavalli sono invitati a venirci a trovare al maneggio!
Non esiste il tossicomane, l’anoressica, il disabile, l’alcolista, il depresso.
Esiste quella persona lì, nella sua esistenza unica e irripetibile…assumere questa prospettiva è tutt’altro che semplice.
Per chi cerca di rispondere al sorgere di una domanda di aiuto che talvolta si produce ma soprattutto, in primo luogo e in ultima istanza, per il soggetto che la formula a partire dalla propria sofferenza.