Sport e videogiochi: un punto di contatto

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Se c’è una cosa che piace ai giovani sono i videogiochi. Diciamo la verità, non solo ai giovanissimi, poichè c’è una bella fetta di ultra-trentenni/quarantenni (incluso il sottoscritto) che è nata e cresciuta agli albori del mondo digitale rimanendone affascinata e abbastanza fedele nel tempo.

Giusto per farsi un’idea i videogiocatori in Italia sono circa il 43% della popolazione, con un’età media di 28 anni, un rapporto 6/4 fra uomini e donne, ma soprattutto con il 96% dei ragazzi compresi fra i 6/17 anni che si considerano dei videogiocatori.

Sono cifre impressionanti, che ci fanno capire quanto questo fenomeno rappresenti un reale cambiamento nelle abitudini socio-culturali delle giovani leve, fenomeno che in passato è stato spesso minimizzato o, ancor peggio, demonizzato.

Al di là delle questioni da dibattito, ritengo che invece il tema sia estremamente interessante se affiancato al mondo sportivo e della psicologia dello sport: nei videogame, abbiamo, a mio parere, la più grande risorsa possibile, oggigiorno, per “scovare” lo sportivo che è in noi, le nostre predilezioni ed anche le nostre predisposizioni. E’ un tema a me assai caro, forse perché fin da piccolo ho amato i videogiochi di guida, ed ho imparato attraverso di essi il funzionamento delle traiettorie. Tema complicato da promuovore, fino a qualche anno fa, quello dell’apprendimento attraverso le simulazioni da spendere nel mondo reale, ma che oggi invece vede il trionfo della tecnologia sulle idee conservative. Facciamo solo l’esempio della Formula 1: non c’è scuderia che non abbia realizzato un simulatore “estremo”, maniacalmente particolareggiato e realistico (nella foto potete osservare quello che al momento rappresenta il top di gamma, quello creato da Dallara in collaborazione con Ferrari). I piloti lo usano con grande assiduità (Vettel è sicuramente uno di quelli che crede fermamente nello strumento) quando devono soprattutto imparare un nuovo tracciato, con qualche eccezione illustre (Alonso ad esempio, lo utilizza in misura minore). Ma ci furono dei precursori anche anni fa, ricordo ad esempio quel Jacques Villeneuve che vinse il mondiale nel ’97 che fu uno dei primi a dichiarare che si allenava alla PlayStation per imparare i tracciati dove non aveva mai corso. C’è chi fece qualche sorrisino all’epoca, ora, nello sport ad alto livello, quelle risate si sono trasformate in milioni di euro di investimento! Parlo di automobilismo, chiaramente, perché le simulazioni sono facilmente replicabili con le azioni effettive di un pilota, ovviamente escludendo i fattori contestuali che poi fanno la differenza fra simulazione e realtà: sensibilità sedere-asfalto, vissuti di stress-paura, attivazione e rilascio di adrenalina nelle differenti fasi di gara, etc., ma molto altro è replicabile. Lo sanno bene i vincitori della GT Academy, concorso annuale organizzato da Sony e Polyphony, dove il vincitore del torneo del noto videogioco hanno la possibilità di diventare dei veri e propri piloti: all’inizio sembrava una scommessa pazzesca, mettere in pista dei videogiocatori, la realtà invece ci ha restituito un gruppo di piloti in grado di competere ad altissimo livello, di vincere delle gare e fare dei podi, e di partecipare a competizioni di caratura mondiale: vedi la 24 ore di Le Mans.

Ovviamente è più difficile la creazione di un “simulatore di calciatore”, poiché l’atto sportivo diretto è totalmente differente da quello che può essere maturato nel gioco: Fifa e Pes, simulano la fase tattica della partita, i movimenti, non l’azione in prima persona del gesto atletico. Vero è, però, che l’aspetto strategico è replicabile: leggende, mica tanto leggende, narrano di un Villas Boas che divenne assistente di Robson poiché aveva consigliato all’allenatore (e vicino di casa) di utilizzare diversamente un suo attaccante, basandosi sulla sua propensione alle statistiche sviluppata giocando ai videogiochi manageriali di calcio.

E quando non è possibile simulare perfettamente le situazioni sportive, si prova almeno ad avvicinarsi il più possibile al movimento, agli aspetti caratteristici, anche folkloristi, della disciplina sportiva: Wii, Kinect e Move rappresentano questo filone di pensiero. Poco importa che effettivamente il mio swing sia perfetto, piuttosto rappresenta una metafora che si avvicina di molto all’idea del “come sarebbe se io fossì là”.

Recentemente con gli smartphone e tablet abbiamo visto un ulteriore sviluppo: il media stesso diviene lo strumento di azione in grado di, ad esempio, contarmi il numero di flessioni che sto facendo, i km che sto percorrendo, esaminare la bontà del mio movimento (attraverso il giroscopio) e premiarmi se sono bravo. Ciò può avvenire ovunque io sia, indipendentemente dai vincoli di tempo e spazio, dandomi la possibilità di farlo anche… all’aperto in piena libertà!

Ci sono diversi aspetti che vanno considerati e due domande principali a cui rispondere:

– Perché i videogiochi piacciono così tanto?

– Come posso sfruttare le qualità positive dei videogiochi nel mondo dello sport?

Temi che approfondiremo nei prossimi articoli.

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Dott. Mauro Lucchetta – Psicologo dello Sport

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