RUBRICA – “E’ stata la depressione”, “Sarà colpa dell’ansia”, “Era esaurito”, “Ha avuto un raptus di follia”, “Le sue fobie non gli hanno permesso di vivere”… sono frasi ormai diventate di senso comune.
Le si sentono abitualmente non più solo negli studi di psicoterapia (dove potrebbero, in qualche misura, avere cittadinanza), ma fanno parte del gergo e del modo con cui tutti noi interpretiamo e spieghiamo ciò che accade a noi e intorno a noi. Sono espressioni talmente consuete da non richiedere nemmeno una spiegazione o una domanda in più, un approfondimento. E’ sufficiente indicare una condizione, uno stato (come la depressione o l’ansia, appunto) per spiegare tutto: una scelta di vita sbagliata, un periodo di difficoltà estrema, le conseguenze di un lutto, una fase esistenziale problematica o, ancora, un evento dalla drammaticità sovrumana, come nei casi di cronaca che ormai quotidianamente i giornali riportano.
La depressione, l’ansia e tutti i fenomeni rubricabili come “disturbi psichici” sono oggi indicati come la causa, in senso negativo, del nostro modo di essere, vivere, interpretare ciò che accade a noi e ai nostri simili. Una causa assoluta, ossia slegata da qualsiasi altra condizione, e, soprattutto, una causa medica, clinica. “Sono ammalato di depressione” è un’altra espressione divenuta talmente familiare da non richiedere nessuna ulteriore domanda. Domanda non tanto sulla verità o falsità circa la natura “clinica” della depressione (sul fatto che la depressione possa essere descritta anche come una malattia siamo tutti d’accordo), ma sulle condizioni alle quali quel vissuto sia, di volta in volta, riferibile. Provo ad essere più chiaro con un esempio. La depressione (ormai utilizziamo questo tema per chiarire ciò che stiamo dicendo) è l’indicazione della presenza di una serie di condizioni, o di sintomi, secondo quanto codificato dal “Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali”, il cosiddetto DSM, la Bibbia della psichiatria contemporanea. Qualora un individuo presenti una certa costellazione di sintomi in una ben definita modalità, intensità e frequenza rientra in una specifica categoria (ad esempio “è depresso”).
Ma questa indicazione – preziosa sul piano diagnostico e clinico – nulla ci dice rispetto all’origine e alla situazione cui quella condizione sia riferibile. E’ tutto, indifferenziatamente, clinico. Ossia abbiamo tra le mani una descrizione di ciò che accade, non una spiegazione. Descrizione preziosa – ripetiamo – ma forse non sufficiente per comprendere, e quindi “padroneggiare”, ciò che accade.
Facciamo qualche esempio: un giovane uomo che non riesce a trovare il suo posto nel mondo, una madre alle prese con la tipica ribellione adolescenziale del figlio, un professionista che perde il suo status economico e sociale in rapporto alla crisi economica, uno studente che non riesce a superare i primi esami universitari, un figlio che perde improvvisamente il padre… Tutte condizioni di difficoltà in varia misura “compatibili” con “la depressione”. Ma se rimango a livello descrittivo, ossia di diagnosi, senza entrare nella “storia di vita”, difficilmente sarò in grado di aiutare quel giovane uomo, quella madre, quello studente, quel figlio…
Non solo, in una storia di vita inevitabilmente si andrà incontro a condizioni di difficoltà e dolore. E, a ben guardare, da un punto di vista strettamente clinico, mi preoccuperebbe molto di più un figlio che non soffrisse per la perdita del proprio padre o una madre che non si ponesse alcuni interrogativi fondamentali rispetto al rapporto con suo figlio piuttosto che il contrario.
Insistiamo su questi elementi non per sottovalutare l’aspetto clinico e “medico” di una sofferenza, ma per far sì che la ricerca e la comprensione individuale e collettiva non si fermino lì, non si arrestino così presto. Da così “lontano” è impossibile aiutare chicchessia. Il dolore, la paura, il fallimento, per quanto cerchiamo in tutti i modi di esorcizzarli e allontanarli da noi, sono parte integrante della vita. E sono forse gli aspetti che, più di ogni altro, ci spingono a darle un senso non banale, se siamo dolorosamente e faticosamente disposti ad attraversarli e cercare di comprenderli”.
Dott. Enrico Bassani
Psicologo – Psicoterapeuta
Via Leonardo da Vinci 15, Lecco
http://www.bassanipsicologo.it – info@bassanipsicologo.it – tel. 338.5816257
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