Lecco, il racconto del dottor Maniglia: “Siamo pochi e i pazienti troppi, ma ci hanno teso la mano”

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L'ospedale Manzoni di Lecco

Qualcosa di bello… nelle parole di un medico dell’ospedale di Lecco

“Ne avevamo bisogno e non ci hanno chiesto niente in cambio”

LECCO – “Qualcosa di bello”… sono queste le prime tre parole di un lungo pensiero che il dottor Paolo Maniglia, medico anestesista dell’ospedale di Lecco ha affidato a un post pubblicato sui social. Un racconto che non può lasciare indifferenti e che meglio di qualsiasi descrive una situazione difficile da capire. Parole che arrivano dritte al cuore.

“Qualcosa di bello:
Mercoledì mattina: per la terza volta, il centro coordinamento ci chiede dei nomi di pazienti intensivi da trasferire. Già altre volte hanno ventilato la possibilità, purtroppo non abbiamo mai concretizzato. Questa volta vogliono 4 nomi per la Germania. La Germania???
Giro di consulenze e decidiamo. Metto via l’idea e non ci penso più. Continuiamo a lavorare come se l’opzione fosse remota. 11 pazienti intubati in sala operatoria e due rianimazioni da 10 posti ormai a 12. Più quello stanzone della recovery con i caschi che per alcuni è solo l’anticamera dell intubazione….
Giovedì sera 23.30: sto svenendo nel letto e arriva il messaggio di Andrea: domani sono confermati i trasferimenti…
Ultimamente gli imprevisti sono all’ordine del giorno è li affrontiamo al momento. Quindi crollo e domani si vedrà.
Venerdì mattina: solita riunione, confermato il trasferimento. Andrea e Mattia si offrono di fare il trasporto sullo smonto notte. Naturalmente non hanno dormito molto. Chiamo Valentina che si precipita. Luisella e Paola accettano subito di aiutare. Colonna di 5 ambulanze (1 di scorta). Bisogna avvisare i parenti. Preparare le dimissioni. Organizzare l’evacuazione ordinata e senza intoppi. Con Clara cerchiamo di capire il modo migliore. Non esiste un modo migliore, come al solito fantasia e buon senso. Ormai è sempre una prima volta.
Nel frattempo un casco precipita e dobbiamo intubarlo… un altro va male… Ok, una cosa per volta.

Arriva la colonna: tutti i pazienti vengono messi sulle barelle monitor e ventilatori collegati. Uno per volta si muovono secondo l’ordine di arrivo dei mezzi.
Grazie a Chiara la nostra psicologa alcuni parenti possono vedere i loro cari passare. Velocemente. Un’occhiata e molte lacrime. E poi via. Tutto finito nel giro di poco…

Scendo al piano -1: sembra un appartamento dopo un furto concitato.
Molti occhi guardano a terra. Molti sono rossi, alcuni piangono. Sono i nostri pazienti li abbiamo curato fino ad ora. Ci siamo affezionati. E credo loro a noi. E’ dura vederli partire ma in questo modo gli diamo più che una chance. Noi siamo bravi. Anzi bravissimi. Ma siamo pochi e i pazienti troppi. E ancora ne arrivano.
Cerco di spiegare le ragioni di certe scelte. Non so se ci riesco. Se mi credono. Forse un abbraccio a volte vale più di mille parole. Tanto abbiamo le tute siamo protetti.
Anche se il dubbio rimane… dove andranno? Come li tratteranno? Staranno bene come da noi? E i familiari cosa penseranno?

Suona il telefono: una ragazza con accento toscano. Fa parte dell’organizzazione per i trasferimenti. Chiacchieriamo e mi tolgo un po’ di dubbi: già 60 pazienti sono stati trasferiti. Vanno in ospedali grossi, preparati, non affollati. I percorsi vengono tracciati e nel report ci diranno ogni paziente dove va. L’aeronautica militare tedesca ha allestito un aereo con postazioni rianimatore per il trasporto.
Finalmente un aiuto concreto. Ci hanno permesso di respirare dopo più di 40 giorni.
Rimane il dubbio di come stiano i “nostri” pazienti. Continuo a pensarci. E sicuramente non sono l’unico.

Sabato pomeriggio: suona il telefono. Un numero dalla Germania. Sovrappensiero penso a qualche offerta di gestore telefonico e appendo. Richiamano e riappendo. Richiamano e rispondo. In un italiano abbastanza “tedesco” mi richiedono informazioni sulla terapia effettuata dal signor L. In Italia. Il Dr. Han. Cerco di ricordarmi a memoria farmaci, esami, colturali… mi scuso e prometto di mandare una mail in serata appena monto di turno con tutti i dati richiesti. Mi sembra di parlare con un collega al cambio turno. Familiare. Gentile. L’impressione è buona.
Mi rilasso. Respiro. Abbiamo fatto la scelta giusta.
Ci hanno teso una mano e l’abbiamo afferrata.
Ne avevamo bisogno.
Non ci hanno chiesto niente in cambio.
Purtroppo di questo non si parla. Quindi ho deciso di raccontarvelo.
Qui ospedale di Lecco.
Spero che lo possiate capire tutti“.