La testimonianza del dottor Schiavo, da anni impegnato in Pronto Soccorso per la tutela delle donne maltrattate
“Arrivano per cadute sospette dalle scale o accompagnate dalle forze dell’ordine. Ed è in questi momenti che bisogna essere capaci di agganciarle facendo uscire il sommerso”
LECCO – C’è chi arriva per una (sospetta) caduta della scale o chi giunge, accompagnata dalle forze dell’ordine, per via delle segnalazioni dei vicini allarmati dopo aver sentito ripetuta urla e pianti. E’ il Pronto Soccorso la prima frontiera e spesso anche la prima ancora di salvezza per le donne vittime di violenza. Donne impaurite, spesso incapaci di vedere, anche per timori economici e sociali, la via di uscita dal tunnel dei maltrattamenti, fisici e psicologici.
La difficoltà a fare uscire il sommerso
Donne che bisogna riuscire ad agganciare prima che la spirale della violenza le avvolga sempre di più fino a stritolarle, come racconta Gianpaolo Schiavo, da anni medico del reparto di emergenza urgenza dell’ospedale di Lecco, diventato un punto di riferimento all’interno dell’equipe dell’ospedale Manzoni di Lecco, coordinata da Luciarosa Olivadoti, che si occupa di trattare casi, anche sospetti, di violenza sulle donne.
“Quando al Pronto soccorso intercettiamo un caso simile, mettiamo in atto una serie di procedure ad hoc ad iniziare dal triage, quando, a prescindere dalla gravità del trauma riportato, si assegna alla paziente sempre un codice giallo di emergenza. Poniamo in atto quindi, dal primo istante, un’attenzione particolare all’accoglienza, sapendo che su questi episodi pende sempre lo stigma sociale e una certa difficoltà a fare uscire il sommerso”.
La stanza rosa
Accolta nella stanza rosa, un luogo ricavato ad hoc per metterla al riparo dal trambusto e dalla drammaticità che spesso si vive in un pronto soccorso, la donna viene lasciata libera di cercare dentro di sé la forza di raccontare il suo dramma, di vincere la reticenza di essere giudicata e considerata sbagliata, se non addirittura colpevole di quanto subito.
“Non bisogna avere fretta e non bisogna soprattutto imporre la propria volontà. E’ necessario dare infatti alla vittima il tempo di rivelare, in primis a se stessa, i maltrattamenti subiti. Spesso infatti una donna non si ribella ai soprusi subiti perché ha paura che la situazione possa peggiorare. Se ha figli, teme infatti che le vengano sottratti. Non solo ma può avere timori economici ed essere spaventata dal percorso processuale o dall’incapacità di pagare l’avvocato”.
Un’equipe dinamica al lavoro
Il tutto senza trascurare, chiaramente, gli aspetti sanitari del caso, sottoponendola ad accertamenti, esami e visite a seconda della necessità. “Abbiamo la fortuna di poter contare su un’equipe dinamica, capace di intervenire a seconda dell’esigenza, mettendo a disposizioni competenze in ambito ginecologico e ostetrico, di tutela sociale e di supporto neuropsichiatrico quando ci sono minori in campo”.
Nel lasso di tempo relativamente veloce dell’emergenza si cerca di mettere in sinergia risorse e competenze per tutelare la donna, non facendola sentire sola. Una collaborazione trasversale che continua anche al di fuori dell’ospedale con le associazioni, i Comuni e la Provincia che sono riuscite a fare rete con “dei nodi efficaci e precisi” per strutturare l’assistenza e l’accompagnamento, anche a livello giuridico, della donna maltrattata una volta uscita dal Pronto Soccorso (per l’attività svolta dai centri antiviolenza, leggi qui). Anche la scuola, in caso di minori, riveste un ruolo fondamentale nella capacità di rilevare, in qualche atteggiamento borderline degli scolari, disfunzioni e problemi in famiglia.
Dal Pronto Soccorso verso una nuova vita
Dalla stanza rosa parte quindi, in caso si ravvisino le necessità, un lungo e impegnativo percorso che porta la donna a essere ospitata in alloggi protetti, alberghi o in casi più gravi rifugi segreti al fine di tutelarne l’incolumità fisica. “Lo si decide in base alla storia pregressa, al grado di minacce subite e alla possibilità di reiterazione della violenza”.
Numeri in crescita: “E’ aumentata la sensibilità sociale”
Fondamentale anche la collaborazione stretta con le forze dell’ordine (per il report della Questura leggi qui) e l’autorità giudiziaria, a cui viene pressochè sempre inviata la segnalazione di reato. Nella provincia di Lecco, nel 2019, sono state consumate 341 violenze ai danni delle donne.
“Il fenomeno è in crescita negli ultimi anni perché sta crescendo la sensibilità delle persone sul tema. A dispetto di quello che si può ritenere la maggior parte delle donne coinvolte sono italiane, appartenenti trasversalmente a ogni ceto sociale. Quanto all’età, c’è una maggiore propensione delle giovani a denunciare gli episodi forse anche perché i loro casi non si sono ancora cronicizzati. Lo dico e lo ripeto a tutte le donne, vittime di violenza, anche psicologica: la porta della stanza rosa è sempre aperta”.