Merate, lettera aperta a Villa dei Cedri: “Voi siete le mie mani, le mani di chi è fuori ma ha qualcuno lì dentro”

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La toccante testimonianza di una figlia che da 40 giorni non vede il padre, ricoverato nella rsa meratese

“A voi che lavorate all’interno della struttura chiedo di resistere e tenere duro nonostante tutto”

 

MERATE – Una lettera aperta, in questi giorni che le Rsa sono al centro delle cronache “travolte” dallo tsunami coronavirus, per dire grazie a tutti gli operatori di Villa dei Cedri. L’ha mandata in redazione una nostra lettrice desiderando così ringraziare chi ogni giorno si occupa con dedizione e professionalità alla cura dei tanti ospiti, tra cui suo padre.

Lettera aperta a Villa dei Cedri

Siamo arrivati da poco io e mio papa: “da poco” perché due mesi non sono ancora una lunga degenza, “siamo” perché dove vive lui sento di vivere un po’ anche io.
È tutta qui la mia famiglia d’origine: ora spetta al mio 50% proteggere il restante 50%. Non è stato facile decidere per una Rsa, in realtà non è stata nemmeno una vera scelta ma piuttosto un “arrendersi” alla realtà, un aprire occhi che non volevano vedere e orecchie che non volevano sentire. Che fatica per i medici convincere quella figlia gentile ma caparbia che chiedeva ad un ospedale la “magia” di far tornare il padre “come prima”.
Ho dovuto fidarmi, ho provato ad affidarci, cercando di mettere a tacere quella voce che chi nasce qui in Brianza ha incisa nel DNA: “T’el disi me: l’è mei a ca’ propria!”

Da 40 giorni un contatto solo telefonico

Non vedo mio papà da 40 giorni, è la prima volta in tutta la mia vita. Lo sento al telefono, vero, ma quell’affare non gli piace, non lo sa usare e non gli interessa imparare. Vorrebbe solo tornare a quella “normalità” faticosamente costruita nelle settimane precedenti, fatta di punti di riferimento che, a modo suo, aveva imparato ad apprezzare in quella nuova casa chiamata “Villa dei Cedri”.

Tutti gli operatori coinvolti

Medici, infermieri, fisioterapisti, ASA, educatori, volontari, assistenti sociali, receptionist, manutentori, addetti alle pulizie, alla cucina e alla lavanderia, cuochi, baristi, giardinieri, professionisti tutti: vorrei chiamarvi per nome ma non li ho ancora imparati. Abbiamo iniziato a conoscerci in questo poco tempo insieme: con colloqui più o meno formali ma anche con un semplice sguardo, un sorriso ed un saluto, magari scambiato incrociandosi sulle scale, per lasciare l’ascensore a chi ne aveva davvero bisogno. Eppure vi ho subito sentito vicino, avete imparato a conoscere un paziente “delicato” e una figlia ansiosa, avete accolto tutte le sue fragilità e le mie richieste di una parola in più.

“Vi chiedo di resistere”

Ed anche oggi so che ci siete, con tutta la vostra professionalità e la vostra abnegazione che è visibile oltre ogni dispositivo di protezione. Né io né lui siamo soli: lo so grazie ai colloqui a distanza con a Dott.ssa Santini ma anche grazie a quella vostra presenza silenziosa e discreta, al vostro lavorio costante che sento in sottofondo alle (troppo brevi) chiamate tra me a lui. E per questo vi chiedo di resistere, di tenere duro nonostante tutto! Voi siete le mie mani, le mani di tutti quelli che sono “qui fuori” ma con qualcuno “lì dentro”; siete il coraggio di fare un lavoro che richiede tutta la speranza, la fiducia e la più grande forza di non arrendersi che un essere umano possa avere, siete i custodi di una generazione che ha ancora tanto da dare, di una memoria collettiva da preservare, di una ricchezza di inestimabile bellezza che è negli occhi di chi la sa vedere, i vostri.
Non sono pronta a rinunciare al suo 50%, non sono pronta a rinunciare al privilegio di conoscervi per nome per dirvi a meno di un metro di distanza: “Grazie!”
Una figlia