Ieri sera a Sartirana l’ultimo degli appuntamenti diocesani sul tema delle sfide del lavoro oggi
L’arcivescovo di Milano ha ribadito l’importanza della preghiera come via per coltivare la speranza
MERATE – E’ stato il mondo del lavoro, sempre più competitivo, ferino e agguerrito al centro della veglia per il lavoro promossa ieri, martedì 30 aprile, dall’arcidiocesi di Milano alla vigilia del Primo Maggio. La chiesa dei santi Pietro e Paolo di Sartirana ha ospitato infatti l’ultimo degli appuntamenti (convegni e poi appunto la veglia meratese) predisposti a livello diocesano per affrontare l’attuale e spinoso tema delle sfide del lavoro.
Piena la chiesa di Sartirana
Molte le persone che non hanno voluto mancare all’occasione di riflessione spirituale che ha visto ospite l’arcivescovo di Milano, monsignor Mario Delpini, accompagnato da don Walter Magnoni, responsabile della pastorale per il lavoro della Diocesi e da monsignor Maurizio Rolla, vicario episcopale della zona pastorale III. Con letture e testimonianze, intervallate dai canti proposti dal coro parrocchiale, la veglia si è focalizzata sul rapporto tra lavoro e cristiani.
“Ci troviamo insieme questa sera per celebrare la festa del lavoro con una veglia di preghiera che vuole essere allo stesso tempo ringraziamento e domanda al Signore, perché comprendendo come cambia il lavoro sappiamo sempre affermare la dignità della persona che lavora” ha esordito una lettrice dando poi voce all’articolo di suor Alessandra Smerilli pubblicato su Avvenire due anni fa, nell’aprile 2017.
L’articolo di suor Smerilli
Nel testo la religiosa analizzava soprattutto il rapporto tra giovani e lavoro: “Che festa è oggi per chi non lavora mai o per chi è costretto a lavorare anche in giorni come questo per consentire i nostri riti consumistici?”.
Una riflessione irrobustita anche dalla considerazione che, con il progresso tecnologico, diminuirà ancora una volta la quantità di lavoro umano necessaria alla produzione di beni e servizi. “E’ il lavoro del non ancora il test della qualità morale del nostro tempo” ha aggiunto suor Smerilli, suggerendo poi, tra tre scenari possibili, quello di fare lavorare le persone 6 ore anziché 8 pagandole comunque a stipendio pieno liberando ore ed energie per la cura di sé e degli altri.
Il lavoro deve andare di pari passo con la cura di sè e degli altri
“Un cambiamento così importante nel modo di intendere il lavoro e la cura è uno di quei processi che richiedono proteste e conquiste collettive. E’ un dono all’intera società che oggi può venire principalmente e forse solamente da voci di donna”.
La veglia è poi proseguita con la lettura della lettera enciclica sulla cura della casa comune “Laudato sì”, dove viene analizzato il rapporto tra lavoro e dignità della persona.
Rosanna e la sua esperienza in Living Land
Spazio poi alla lettura di una lettera scritta da Rosanna Ghislanzoni, 26 anni, che ha sperimentato l’opportunità lavorativa fornita nell’ambito del progetto Living Land, promosso da Retesalute. Una testimonianza diretta e profonda, ricca di domande e dubbi anche esistenziali, sul proprio posto del mondo.
L’intervento di Paolini, cooperativa sociale Il Paso
Parole cariche di sentimento, a cui sono seguite quelle, altrettanto vibranti, di Joseph Parolini, responsabile della cooperativa sociale Il Paso. “Lavoro in una cooperativa sociale di tipo B, che si occupa quindi dell’inserimento nel mondo del lavoro di persone svantaggiate. Lavoriamo principalmente nel settore delle pulizie delle imprese, nella cura del verde e in altri lavori che ci inventiamo per permettere di chiudere in pareggio il nostro bilancio”.
Complice la crisi economica, in questi anni hanno bussato alle porte dalla cooperativa sociale sempre più persone svantaggiate perché senza lavoro. “Uomini e donne spesso con un basso profilo di competenze per le quali perdere il lavoro non è solo un problema economico, ma diventa una discesa che porta alla depressione. Non ho risposte a cosa si può fare per risolvere questo problema, ma forse posso dire quello che facciamo noi, lavorando con tanta fantasia per cercare di inventarci ogni giorno una strada diversa”.
Tante domande senza risposta anche per l’arcivescovo Delpini
Ed è proprio dalle domande che lecitamente ciascuno di noi si pone sul futuro del proprio lavoro e quello dei propri figli che è partito il ragionamento dell’arcivescovo monsignor Delpini. “E’ normale chiedersi quali prospettive posso immaginare per me e per la mia azienda. Quale lavoro troveranno i nostri figli e cosa dovrei consigliare di studiare. Domande a cui gli esperti, i tecnici, i teorici del lavoro e della società del lavoro, interpellati anche dagli imprenditori, cercano di dare risposte”.
L’alto prelato ha aggiunto: “Quello che capisco io è che non ci sono soluzioni per ogni cosa. Non ci sono cioè risposte per tutte le domande”.
La preghiera come via
Ed è per questo che il momento di veglia assume tutta un’altra prospettiva: “Noi questa sera siamo convocati qui per pregare. Non è un dibattito o una manifestazione contro qualcuno. Siamo qui per una veglia per il lavoro alla vigilia del primo maggio. Che significa pregare per il lavoro? Bisognerebbe difendere i posti di lavoro o progettare i piani investimenti. E sono convinto che i cristiani, presenti nel mondo del lavoro, non si sottraggono all’impegno sindacale a fianco degli uomini e delle donne di buona volontà”.
“Ma i cristiani sono anche convinti che esista un orizzonte più grande, che è quello della preghiera. Sono uomini e donne consapevoli che la vita è una vocazione, uomini e donne che pregano perché hanno sempre speranza e non si scoraggiano mai. Ogni seminagione promette un raccolto. Gli uomini e le donne che pregano guardano con questa prospettiva. Non sono rinchiusi nel presente ma seminano immaginando un futuro”. Delpini ha poi precisato con convinzione: “Di fronte a condizioni umilianti di lavoro è necessario alzare la testa, dire no a sfruttamento e condizioni umilianti. La vocazione dell’umanità è la fraternità”.