Rapporto fra allenatore e giocatori: psicologia nello sport con le 3 P

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Nel precedente articolo abbiamo cercato di illustrare il “segreto” di Mourinho (e di tanti altri allenatori) nella gestione dei propri atleti cercando quindi di fissare un primo elemento chiave:

– la capacità di approfondire le caratteristiche psicologiche (e comportamentali) del proprio giocatore, accettandole così come sono, senza i propri pregiudizi.

Attraverso un approccio che prenda in considerazione questo elemento, così come quando si tratta degli aspetti tecnici, un allenatore sarebbe già in grado di poter effettuare le sue scelte includendo la maggior parte delle qualità che caratterizzano i propri giocatori. Questo al di là della volontà, oppure no, di essere anche “empatici” con il proprio atleta.

Resta quindi da capire se esistano degli strumenti in grado di aiutarci in questo compito di far emergere gli aspetti “relazionali” dello sportivo. La risposta è certamente affermativa, alcuni sono proprio degli strumenti psicologici (questionari, test di personalità o proiettivi) che però sono applicabili e utilizzabili soltanto da uno psicologo dello sport. Ma se devo mettermi nei panni di un allenatore che ha bisogno di qualcosa di immediato e applicabile direi che il modello delle 3P rappresenta un semplice metodo per monitorare il proprio modo di interagire e comprendere i giocatori:

Protezione – Permesso – Possibilità

– Protezione

E’ intesa come la volontà dell’allenatore di difendere i propri atleti di fronte ad errori (tecnici) e difficoltà (varie), rappresenta la norma positiva e strutturante del rapporto allenatore-giocatore. E’ fondamentale soprattutto con i più piccoli, poichè è il modo più semplice ed efficace per eliminare (o aggiungere) preoccupazione nel bambino quando si affaccia ad uno sport. Gli errori tipici che può commettere un allenatore nell’esercizio di questo comportamento possono essere: a) la creazione di un rapporto terroristico in cui l’allenatore non dà spazio alla responsabilità del ragazzo e alle sue possibili risposte, dove quindi l’allenatore diventa una figura distante; b) l’iperprotettivismo, in cui l’allenatore difende sempre il proprio atleta qualsiasi cosa faccia, rendendo palese l’inverosimilità della difesa, non solo per gli interlocutori, ma anche per il giocatore stesso.

La protezione ha senso quando è reale, se l’allenatore recita una parte, non credendo alle sue stesse parole, non farà altro che creare ulteriori dubbi nell’atleta, che certamente sarà in grado di cogliere la “bugia” che si insinua nel loro patto di fiducia. Un esempio classico può essere il giocatore che sta male perchè sente che non sta rendendo come potrebbe: molto meglio dialogare sul problema, facendo capire al ragazzo che capiamo il suo momento e penseremo a come risolverlo, piuttosto che far credere al ragazzo che invece “è tutto a posto, non è niente! Vai benissimo!”

– Permesso

Esso rappresenta il livello con cui si incoraggia ad agire o a dire al di là di una restrizione o di un tabù. Se riferita al coach, non considerando la cultura sportiva della società, si può chiamarla con il termine confidenza. Attraverso il permesso è possibile entrare direttamente a contatto con il mondo del proprio atleta che ha la possibilità di “uscire dai ranghi”, con i vantaggi e rischi che si porta dietro: a) da una parte c’è il permissivismo, dove ogni regola perde valore e la struttura di fondo scompare portando quindi all’inevitabile fine della squadra; b) dall’altra c’è l’autoritarismo, dove le leggi sono incontrovertibili. In quest’ultimo caso, se il prestigio dell’essere parte del team non è sufficiente, si può incorrere a fratture improvvise nello spogliatoio e ad abbandoni non prevedibili.

Come abbiamo già avuto modo di vedere, un modello autoritario, soprattutto nelle ASD, è altamente sconsigliabile. Sempre alla luce dell’attuale mondo giovanile, un modello troppo permissivo può facilmente degenerare quando la cultura societaria non è sufficientemente interiorizzata da parte degli atleti. Il consiglio è quello di creare dei momenti prestabiliti, a discrezione dell’allenatore ma condivisi con i ragazzi, in cui poter dialogare liberamente. E’ importante che questi momenti avvengano solo nelle modalità e nei tempi prestabiliti: l’obbiettivo è farli diventare istituzionali e parte della cultura sportiva della società.

– Possibilità

Quando Protezione e Permesso sono ormai diventati prassi comune si può anche ragionare in termini aspirazionali: la Possibilità è la fiducia in sé che produce risultati evidenti e che consente di avere la reale percezione della costruzione del rapporto con il coach. Se nel Permesso l’allenatore chiede al giocatore di dire cosa pensa, nella Possibilità la richiesta all’atleta è quella di fornire delle risposte applicabili, delle soluzioni che siano utili a se stesso, agli altri compagni e nel caso anche alla società stessa. La Possibilità è uno strumento decisamente motivante, ma è anche molto impegnativa: un errore di valutazione dell’allenatore può causare problematiche sia nel ragazzo che nelle persone implicate nelle scelte effettuate. Gli errori tipici sono: a) una sovrastima delle capacità dei ragazzi b) le scelte premature determinate dalla fretta di crescere e far crescere.

La possibilità è un elemento di difficile valutazione e richiede anche una lunga esperienza all’interno della società sportiva che permetta di effettuare valutazioni corrette. Il suggerimento principale è quello di prendersi del tempo quando serve, piuttosto che agire solo per soddisfare una sensazione di fretta che in realtà non è reale: in questi casi un giorno in più di solito non crea problemi.

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Dott. Mauro Lucchetta – Psicologo dello Sport

 

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