Fu nel 1955 che Luigi Fumagalli, motorista alla Badoni, nato nel 1937, mise piede per la prima volta in Canottieri; ecco i suoi ricordi, raccolti da Francesca Fiori.
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RUBRICA – Fu nel 1955 che Luigi Fumagalli, motorista alla Badoni, nato nel 1937, mise piede per la prima volta in Canottieri; ecco i suoi ricordi, raccolti da Francesca Fiori.
Torniamo indietro nel tempo, all’estate del 1955; a quell’epoca il presidente della Canottieri era Giuseppe Riccardo Badoni, autore della realizzazione della nostra attuale sede, nonché noto industriale lecchese. In quegli anni la Antonio Badoni S.p.A. si occupava di carpenteria metallica, apparecchi di sollevamento e di trasporto, gasometri di grandi dimensioni, ponti stradali e ferroviari, ma, soprattutto, costruzione di locomotori ferroviari. In quell’ambito, in Badoni lavoravano diversi “motoristi” che il presidente Badoni destinava, per i quattro mesi d’estate, alla manutenzione delle barche a motore della Canottieri, ai tempi della “Pinta” e del “Virginia”.
“La mia storia è molto legata alla fabbrica Badoni – esordisce il signor Fumagalli – mio padre, infatti, era un operaio della Badoni e purtroppo morì sul lavoro, in trasferta a Genova, a soli 38 anni, a causa di un brutto incidente; all’epoca io avevo sei anni e mia sorella quattro. L’Ing. Badoni, un uomo veramente eccezionale, si prese cura di noi; assunse mia madre in casa Badoni e mandò me al Collegio Volta. Era implicito che, terminate le scuole, sarei andato a lavorare in Badoni. E così avvenne, come pure fece mia sorella. Fui assunto e cominciai a lavorare in fabbrica, nel reparto Locomotori Ferroviari. Il motorista capo ogni estate veniva mandato a lavorare in Canottieri, per fare manutenzione ai motori delle barche sociali, ma nel 1955 si stufò e mi chiese se volevo sostituirlo. Accettai ben volentieri e così, a 18 anni, approdai in Canottieri.
Per me era come stare in vacanza… quattro mesi fuori dalla fabbrica, sul lago, in un club “di signori”.
Quell’estate mi occupai della manutenzione della Pinta, una barca a vela di circa 15 metri a disposizione dei soci, e del Virginia, un battello che sembrava un “toscano”; lungo 25 metri, largo 2,5/3 metri, era stato costruito a Venezia, si dice, per il figlio di un Maraja, che quando andava a Venezia voleva poter girare per i canali in completa comodità. Era tutto arredato di velluto rosso con tutti i servizi, ma, in effetti, non era granché per navigare sul lago, perché beccheggiava troppo, causando spiacevoli inconvenienti agli ospiti.
Alla fine dell’estate del 1955 tornai in fabbrica, ma l’anno successivo, il 1956, tre soci della Canottieri (Giancarlo Bigoni, Giovanni Comi e Millo Rusconi) diedero vita alla sezione sci nautico e avevano bisogno di qualcuno che guidasse il motoscafo. Mi chiamarono, mi fecero fare la patente nautica, comprarono un motoscafo e mi misero alla guida.
Anche riguardo alla patente ho un ricordo che mi fa sorridere. Naturalmente prima di fare l’esame, avevo già guidato diverse volte il motoscafo e avevo quindi acquisito una certa dimestichezza. In particolare, quando si portava fuori lo sciatore, bisognava essere molto veloci a recuperarlo, nel caso fosse caduto in acqua, operando con le dovute precauzioni di avvicinamento e spegnendo il motore per evitare pericoli con l’elica. Conoscendo il motoscafo come le mie tasche, in quelle occasioni davo gas in direzione dello sciatore e poi sterzavo bruscamente in modo che il motoscafo si fermasse alla distanza giusta dello sciatore caduto. Nel corso dell’esame mi sottoposero alla prova del “recupero uomo a mare” (l’uomo era un pallone) e mi cimentai nella mia solita manovra, ho dato gas puntando verso il pallone, ma invece di rallentare ho sterzato bruscamente a sinistra, il motoscafo ha creato un’onda che l’ha sollevato all’altezza giusta per prenderlo e depositarlo in barca. L’ingegnere esaminatore rimase di stucco e quando gli chiesi se ero stato abbastanza veloce, mi rispose “Sì, sì, velocissimo, peccato che l’uomo sia morto dallo spavento”!
Io arrivavo in Canottieri alle 8.00 di mattina, facevo manutenzione e controllo motori, con relativa pulizia, poi restavo a disposizione per guidare il motoscafo. Verso le 10.00 cominciavano ad arrivare i primi sciatori, sia soci della sezione sci nautico che soci ordinari. Per questi ultimi era stato studiato un “noleggio” che prevedeva per 1.000 lire (ndr: circa la paga base di mezza giornata di un operaio!) per una sciata di cinque minuti: partenza dalla Canottieri, prua verso la Rocca, giro verso la statua di San Nicolò e rientro.
Il motoscafo era un Taroni, consumava 40 litri all’ora, aveva un motore Gray-Marine a sei cilindri e una potenza con cui riusciva a portare fuori dall’acqua e trainare quattro sciatori insieme.
Nell’estate del 1957 tornai in Canottieri e partecipai a due belle avventure.
I soci della sezione sci nautico organizzarono una manifestazione cui invitarono Quirino Ramirez, messicano, il primo uomo a fare sci nautico a piedi nudi, e Marina Doria, la futura moglie di Vittorio Emanuele di Savoia, una gran campionessa di sci nautico (ndr: Marina Doria ha un ricco palmares come sciatrice nautica: nel 1955 fu campionessa del mondo per la disciplina “figure” e nel 1957 vinse ben tre titoli mondiali, “slalom”, “figure” e “combinata”).
Nel 1957, inoltre, il Presidente Badoni compì 75 anni e festeggiò con alcuni ospiti (Ceppi, Cima, Redaelli e altri) con una crociera di quattro giorni sul lago a bordo della Pinta. Naturalmente andai anche io, come motorista, anche se, per Badoni, grande appassionato di vela, il motore era davvero solo “ausiliario”.
La crociera partì dalla Canottieri, la prima tappa per la notte fu all’Isola Comacina (e lì, così come nelle altre tappe, gli uomini dormivano rigorosamente a bordo e le donne a terra), seconda tappa a Menaggio e terza a Piona. Ricordo che il ritorno da Piona fu molto lungo, perché a un certo punto la Breva ci abbandonò, ma era assolutamente proibito usare il motore, per cui arrivammo in Canottieri oltre le otto di sera, mentre l’arrivo era previsto per le cinque del pomeriggio.
L’anno dopo i soci dello sci nautico decisero di sciogliere la sezione, vendettero il motoscafo e io cominciai ad andare in trasferta “sul serio” per lavoro (consegnavo i locomotori e li riparavo) e dovetti abbandonare la Canottieri.
L’estate del 1957, però, mi è sempre rimasto nel cuore, perché fu quello l’anno in cui conobbi Angela, mia moglie. Frequentava la Canottieri con un’amica e un giorno ebbero il coraggio di chiedermi di portarle a fare un giro in motoscafo. Naturalmente chiesi il permesso, che mi fu concesso, per una volta, e accompagnai fuori uno sciatore insieme alle due ragazze. Prima spiegai loro che, nel caso lo sciatore fosse caduto, avrebbero dovuto ritirare la cima di traino. Lo sciatore cadde e le due ragazze presero in mano la cima come se fosse… una collana, la tiravano su piano piano, con delicatezza!
Fu l’unica volta che portai delle ragazze sul motoscafo, ma continuai a frequentare Angela. Anzi, sempre lei fu la ragione dell’ultima volta che misi piede in Canottieri: nel 1961, ci frequentavamo, e volevo portarla in barca sul lago, ma non c’era nessuna possibilità. A quel tempo avere una barca era un lusso, così mi associai alla Canottieri per poter noleggiare le lancette a remi e portare sul lago la mia ragazza. Da allora, oggi è la prima volta che rimetto piede in Canottieri, e sono passati ben 54 anni!”
Si conclude così il racconto del signor Fumagalli, che è tornato in Canottieri dopo 54 anni per raccontarci la sua storia che è anche un pezzo della storia della nostra amata Canottieri.
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