RUBRICA – Ben ritrovati a tutti coloro che seguono con interesse questa rubrica dedicata al vino e all’enogastronomia. Sono appena rientrato da un “evento enologico” dove ho degustato moltissimi vini e spumanti, con anche alcune anteprima della vendemmia 2016, e devo confessarvi che sono rimasto soddisfatto solo in parte quindi, senza fare troppa polemica, mi sento di fare alcune considerazioni.
Di positivo ho riscontrato la continua valorizzazione delle uve autoctone, soprattutto quelle fin ora considerate “povere”, che non hanno ancora espresso tutto il loro potenziale come ad esempio il Nero d’Avola di cui parlerò in seguito. Di negativo ho percepito, soprattutto nei vini bianchi giovani, un’eccessivo tecnicismo di cantina che porta ad un imbarazzante appiattimento invece della diversificazione i base al vitigno ed al territorio.
In poche parole gli enologi di ultima generazione, ovunque essi operino dal Friuli alla Sicilia, lavorano con gli stessi metodi e producono vini “standard”, magari piacevoli, ma tutti molto (troppo) simili.
In tale contesto, anche un degustatore esperto difficilmente riesce a cogliere in maniera netta ed inequivocabile le differenze fra una Malvasia Istriana, una Vernaccia S.Giminiano e un Greco di Tufo: stesso aroma superfruttato, stesso equilibrio, stessa acidità e medesimo grado alcolico (13/13,5°) , tecnicamente perfetti ma privi di personalità.
Ma veniamo al Nero d’Avola, detto Calabrese, anche se con la Calabria ha ben poco a che fare perché il termine deriva da un’evoluzione dialettale di “cala aulisi” ovvero uva avolese. Il vitigno ha notevole vigorìa, non richiede
particolari cure e si adatta a qualsiasi condizione pedoclimatica.
Viene vinificato sia in purezza sia associato ad altre uve locali come il Frappato ed il Perricone o, più recentemente, a uve internazionali ormai molto diffuse in Sicilia come Syrah, Merlot e Cabernet sauvignon.
Il vino che si produce è generalmente di color rosso ciliegia intenso con riflessi porpurei, i sentori sono netti e fini spesso con sfumature balsamiche, al palato è di ottimo corpo supportato da fresca acidità e tannini mai troppo astringenti. In passato non è stato mai ritenuto un vino adatto all’invecchiamento ma attualmente alcuni neri d’Avola
di pregio si stanno rivelando sorprendentemente longevi.
E’ diffuso un po’ in tutta la Sicilia ma la zona di elezione è sicuramente la parte sud-orientale nelle zone di Noto, Siracusa, Avola, Vittoria , Pachino e nel ragusano, da dove vengono i prodotti più blasonati.
Sul mercato, si possono trovare un’infinità di neri d’Avola in purezza, o anche degli uvaggi, con un invidiabile rapporto costo-qualità però ci sono voluti i “fuoriclasse” per dar visibilità a questo vitigno piuttosto
sottovalutato e trascurato.
Già negli anni ‘80 aveva fatto notizia il “Duca Enrico” di Salaparuta un nero d’Avola passato in barrique per 18 mesi (costava 30 mila lire, oggi costa attorno ai 50 euro) poi uno alla volta di sono affermati il “Rosso del Conte” Tasca d’Almerita, Don Antonio di Morgante, “Mille e una Notte” Donnafugata, “Santa Cecilia” di Planeta, “Harmonium” di Firriato fino ad arrivare alle quattro strepitose “Contrade di Pachino” di Gulfi, 5/6000 bottiglie ognuna in cui si percepiscono le diverse sfumature date dai terreni e dalla vicinanza al mare.
Tra i prodotti assaggiati recentemente, con prezzi più abbordabili, il “Nero Ibleo” di Gulfi e il “Cartagho” di Mandrarossa sono davvero eccellenti come anche l’uvaggio Nero d’Avola-Syrah “Sant’Agostino” di Firriato.
Per quanto riguarda gli accostamenti suggerirei alcune ricette regionali come la pasta con le sarde, pasta alla norma, parmigiana di melanzane con vini relativamente giovani ed eleganti.
Per i vini più strutturati e complessi mi vengono in mente l’agnello al forno o la grigliata di carni miste.
Vedo bene anche alcuni formaggi saporiti (non per forza siciliani) ma un buon Ragusano , un Piacentinu con zafferano e pepe o un pecorino Canestrato abbinati ad un “Nero SanLorè” di Gulfi avrebbero un altro fascino.
Assaggiare per credere
Roberto Beccaria
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