RUBRICA – Cari amici del buon vino italiano ben ritrovati. Viste le bizze del tempo in questi ultimi anni non possiamo esserne certi, ma sembra proprio che sia arrivata l’estate anche dal punto di vista meteorologico e, per ciò che concerne la scelta dei vini, si tende a dar maggior spazio ai vini bianchi, generalmente più indicati ai piatti tipici di stagione.
In questo contesto ho avuto occasione di assaggiare alcuni vini bianchi Piemontesi, notoriamente terra di grandi vini rossi ma piuttosto carente di vini bianchi di grande impatto e personalità, che mi hanno dapprima incuriosito, poi sorpreso e quindi entusiasmato.
In tutta sincerità ho sempre ritenuto i bianchi storici piemontesi, come il Cortese di Gavi o il Roero Arneis, vini gradevoli ma con un potenziale alquanto limitato. Le recenti scelte dei produttori mi stanno dando anche un minimo di ragione visto che stanno puntando su alcuni vitigni autoctoni come Timorasso ed Erbaluce, sui soliti Chardonnay e Sauvignon ma pure su Viogner e Riesling renano, che sta dando risultati impensabili e a volte superiori a quelli dei territori atesini ritenuti maggiormente vocati come Val Venosta e Vall’Isarco.
In effetti tutto questo mio interesse per i vini bianchi piemontesi di ultima generazione nasce dall’entusiasmante degustazione di varie annate del Riesling “Herzù” di Ettore Germano, un “barolista” di Serralunga che ha impiantato il Riesling a Cigliè, vicino a Dogliani, ottenendo un vino davvero straordinario anche nelle differenti sfumature inerenti all’annata.
Pensavo fosse l’unico pazzoide a coltivare Riesling in questi territori ed invece mi sono imbattuto in quello prodotto dal noto enologo e winemaker Beppe Caviola ed ho cominciato a rivedere alcune convinzioni sui bianchi prodotti nella regione dei nebbioli, delle barbere e dei dolcetti, andando alla ricerca di vini raramente presi in considerazione.
Tra gli autoctoni, ho trovato degni di nota un paio di Timorasso provenienti dal Tortonese come il “Derthona” di Claudio Mariotto ed il “Diletto” di Pomodolce; eccellenti anche l’Erbaluce di Caluso “13 mesi” di Favaro ed il Nascetta “la regina” di Braida.
A proposito di Erbaluce consiglio di assaggiarne anche alcune interessanti versioni spumatizzate metodo classico come il “Couvè Tradizione” mill. Orsolani. Tra gli internazionali ho assaggiato, in una recente visita in azienda a Serralunga, l’eccellente Chardonnay 2016 di Massolino che ha un’eccellente struttura ed una nota molto delicata della barrique in cui ha fatto parziale affinamento. Più deciso è l’impatto della tostatura nei più famosi, costosi e datati, Chardonnay “Pio di Lei” di Pio Cesare e “Monteriolo” di Coppo. Inoltre non si può far a meno di segnalare gli ottimi Langhe Sauvignon di Matteo Correggia, prodotto nel Roero, ed il Viogner “Cinerino” di Marziano Abbona, prodotto a Dogliani.
Per finire completo questa breve panoramica con alcuni “uvaggi” ben fatti come il “Tre uve” di Malvirà ottenuto con Arneis , Chardonnay e Sauvignon, il “Pafoj” bianco di Icardi ottenuto con Sauvignon e Chardonnay ed il “Binel” di E. Germano in cui lo Chardonnay viene aggiustato con una piccola percentuale di Riesling.
Dopo questa “sviolinata” sui bianchi piemontesi non pensiate che stia calando il mio smisurato amore per il Verdicchio o per alcuni grandi bianchi Friulani, volevo solo segnalarvi che, finalmente, anche dal Piemonte possono arrivare ottime alternative.
Gli accostamenti gastronomici a questi vini sono molteplici e vanno dai classici antipasti regionali come la carne cruda all’Albese battuta a coltello, il carpaccio di Fassona, il vitello tonnato o i peperoni ripieni, fino ad arrivare ai primi piatti e i risotti o anche a diverse preparazioni saporite di cucina marinara.
Vi saluto, anche perché parlando di questi argomenti mi viene un certo languorino ma per oggi, dopo diverse serate impegnative con cene e degustazioni, meglio star leggeri con una bella insalata vegetariana di pasta e verdurine accompagnata però da un “Due gatti” Az. Gatti Piero, curioso vino prodotto nella culla del Moscato d’Asti con il vitigno autoctono Furmentin.
Assaggiare per credere
Roberto Beccaria
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