“Middlesex” di Eugenides Jeffrey

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Premio Pulitzer nel 2003, Middlesex, a mio avviso, è un vero capolavoro.
Si tratta di un libro decisamente impegnativo e lungo (606 pagine) che, però, si trasforma in una piacevolissima lettura.
Middlesex esiste davvero: è una delle strade nei sobborghi di Detroit dove lo scrittore, Eugenides Jeffrey ha vissuto da bambino.
Ma middlesex è anche il termine che indica il sesso di mezzo, il sesso a metà. Questo romanzo, infatti, narra una storia di ambiguità sessuale, di intersessualità e bisessualità molto attuale, in cui il sesso, esplorato e normalizzato dalla scienza, è esibito e banalizzato dalla comunicazione, addirittura commercializzato.
Ma il problema della sessualità non è il solo tema trattato. Agli inizi della storia è messa in evidenza soprattutto la problematica dell’immigrazione (dei greci, in questo caso) dalla terra natia verso gli Stati Uniti agli inizi del Novecento.
È un’opera complessa che ripercorre quasi tutto il secolo scorso passando per tre generazioni, dai nonni Desdemona e Lefty per giungere a Calliope/Cal. Ma Eugenides Jeffrey, già autore del più celebre Le vergini suicide (da cui Sofia Coppola ha tratto l’omonimo film) sa come tenere desta l’attenzione del lettore e – perché no – farlo anche sorridere.

 

 

Trama. Callie, come la chiamano in famiglia, nasce sana e bellissima nel lontano 1960 a Detroit. Figlia di emigranti greci, conduce una felice infanzia da bambina vivace e molto amata, ma anche assolutamente cosciente di essere femmina. Durante l’adolescenza capisce che qualcosa non va nel suo sviluppo fisico: inizia a diventare troppo alta per una ragazza, ad avere atteggiamenti eccessivamente mascolini e a desiderare sessualmente la sua migliore amica.

Ed è così che nasce (o meglio dire rinasce) Cal. Percorso naturalmente doloroso quello che è obbligata a compiere all’interno di una clinica per disfunzioni di genere, dove capisce ciò che in realtà la sua natura stessa le sta dicendo, attraverso le spontanee trasformazioni del suo corpo: è un maschio e da maschio deciderà di vivere tutta la sua vita.
Fa da cornice al romanzo la storia della sua famiglia, dai nonni ai genitori. Con la scusa di volerci dimostrare come la disfunzione sia passata da generazione a generazione, attraverso un gene colpevole, Calliope ci racconta di quando i suoi nonni emigrarono da una Grecia in guerra contro i Turchi (inizio secolo scorso) a Detroit. E di quando i suoi genitori si innamorarono, essendo cresciuti nella stessa casa, e decisero di avere un secondo figlio “e che stavolta sia femmina”.  Sta tutto in queste storie il motivo genetico della sua “particolarità”.

 

 Francesca Numerati