SUEGLIO – Chiesa di San Martino Mont’Introzzo gremita, oggi pomeriggio a Sueglio, per l’ultimo saluto a Marco Cariboni, il trentacinquenne morto a fine gennaio mentre era in vacanza a Zanzibar con sua moglie Monica Bazzi. Un addio struggente, accompagnato dai canti del Coro Delphum di Dervio di cui lui stesso faceva parte e che ora, come è stato sottolineato durante il rito funebre, avvertirà la sua assenza.
“Ci mancheranno il tuo talento, la tua voce, la tua disponibilità e quella grande passione che sapevi trasmettere a ognuno di noi – ha detto il maestro Gianfranco Algarotti rivolgendosi idealmente proprio a Marco – Ti sei sempre messo al servizio del nostro coro e di questo ti siamo grati. Ma esprimiamo gratitudine anche ai tuoi genitori per averti messo al mondo e siamo altresì grati al destino che ci ha fatto incontrare”.
“A manifestarti tutta la nostra gratitudine – ha aggiunto il direttore del Coro con la voce rotta dall’emozione – è il nostro cuore. E’ vero, ci mancherai tantissimo, ma siamo anche un po’ gelosi sapendo che adesso tu canti in un altro coro e davanti a un vero maestro”.
Era stato proprio un canto – l’“Improvviso” di Bepi De Marzi – intonato dal Coro “Delphum” ad accompagnare l’ingresso dentro la parrocchiale della salma di Cariboni, portata a spalle dai “suoi” alpini del gruppo di Sueglio. “L’ombra che viene – recita quel brano che racconta il tramonto come un momento in cui il buio scende appunto all’improvviso – azzurra le colline, giù nella valle si chiudono le rose. Chi spegne il giorno conosce bene il sole, chi spegne il giorno colora i nostri sogni…”.
Ai lati dell’altare e nella navata centrale della chiesa, quasi a voler “scortare” il feretro, decine di labari e gagliardetti dei gruppi alpini del Lecchese. A presiedere la celebrazione eucaristica don Michele Crugnola, uno dei tre co-parroci della Comunità pastorale di Dervio, affiancato da don Rino Valente, da don Attilio Cantoni e dal parroco di Varenna, don Aldo Monga.
“Diamo oggi a Marco il saluto nella fede del Signore, che oggi lo accoglie nel suo regno di vita eterna”, aveva premesso don Michele introducendo il rito religioso e prima che venissero proclamati la Lettera di San Paolo apostolo ai Romani e il brano dell’evangelista Marco che descrive la morte di Gesù in croce.
“Sappiamo che per il nostro Marco adesso tutto sarà più chiaro – ha detto quindi all’omelìa don Attilio – perché ora lui potrà comprendere anche il significato della sua morte prematura, che ha ferito tanti cuori a cominciare da quelli di Monica, di mamma Sandra e di papà Pierino. Ora lui può vivere della visione del Signore, non deve più vivere di fede. Ma lui non è morto, è soltanto passato alla vita eterna, alla vita piena a cui tutti noi siamo stati destinati, quella vita che non è più segnata dalla tristezza e dal pianto”.
“Noi siamo qui oggi – ha aggiunto il sacerdote – perché il Signore possa accogliere le nostre grida che salgono fino a lui, i nostri perché. Vogliamo sfogare tutta la nostra tristezza e la fatica di vivere e superare questo momento, il nostro essere smarriti di fronte a quanto accaduto. E davanti a Marco diciamo che l’ultima parola sulla sua vita l’ha avuta l’amore di Dio per lui”.
Quindi un’accorata invocazione: “Donaci ancora una volta, o Signore, il tuo spirito e donalo in particolare a Monica perché possa vivere questa fatica aggrappata a te e perché possa sapere che il suo Marco non è morto ma è con te, insieme a tanti che l’hanno preceduto. Dona il tuo spirito ai suoi genitori, affinché il vuoto che lui ha lasciato non li schiacci. Noi siamo certi che tu non ci abbandoni, perciò anche in questo momento di dolore ti diciamo grazie perché tu ci doni la fede che sostiene la nostra vita”.
L’omelìa è stata seguita dall’esecuzione di “Stelutis alpinis”, uno tra i più conosciuti canti corali, che ha preceduto l’intonazione – sempre da parte del Coro Delphum, affiancato durante la celebrazione dal coro della parrocchia di Sueglio – di “Fratello sole, sorella luna” e della “Vergine degli angeli”, l’inno religioso che chiude l’atto secondo della “Forza del destino” di Giuseppe Verdi, cantato con il soprano Daniela De Francesco.
Al termine della celebrazione eucaristica sono stati letti la preghiera dell’alpino e il toccante brano “Coraggio, sono io”, che recita: “No, non avere paura se nel buio del tuo cuore un giorno perderai. Io verrò da te e come un padre ti dirò: Coraggio, sono io”.
Quindi Emiliano Invernizzi, del consiglio sezionale dell’Ana di Lecco, ha indirizzato a Marco Cariboni l’ideale saluto di tutte le penne nere. “Ti ringraziano gli alpini di Sueglio – ha detto – che oggi ti hanno voluto portare sulle loro spalle. Ma tutti noi ti vogliamo ringraziare. Possa anche tu, Marco, entrare nel paradiso di Cantore”.
Poi il “Signore delle cime” e l’uscita del feretro dalla chiesa di San Martino alla volta di Dervio, il paese di cui Cariboni era originario e dove riposerà per sempre.