Dopo il referendum, che ha abolito il famoso “Decreto Ronchi“, l’art. 20 della cosiddetta “Legge Galli”, (n.133 del 5 gennaio 1994) è tornato ad essere la legge che regolamenta l’affidamento della gestione del Sistema Idrico Integrato (SII).
Qual era (e qual è tuttora) lo scopo di una legge approvata quasi 18 anni fa?
Ebbene nell’era “pre Galli” la gestione dell’acqua in Italia era ripartita tra quasi 8000 diverse società pubbliche di gestione (Senn, 2009), a fronte di 8.094 Comuni. Di fatto quindi ogni Comune gestiva l’acquedotto, da sé.
Ciò comportava tre grandi criticità:
- gli sprechi dovuti a una rete ‘bucata’ per la quale i Comuni avevano la capacità finanziaria per le toppe
- scarsa attenzione delle fasi “a valle” (cioè la depurazione)
- mancanza d’integrazione
Nel 1994, quando fu approvata, gli obiettivi della legge erano ridurre questa frammentazione cercando di eliminare le inefficienze attraverso l’adozione di quattro principi:
- istituzione del Servizio Idrico Integrato (SII) come sturttura organizzativa: integrazione tra captazione, adduzione, distribuzione, fognatura e depurazione
- la defiscalizzazione del servizio idrico: i costi non gravano più sulla fiscalità generale, ma introducendo il principio del full recovery cost, la tariffa deve garantire il totale rientro dei costi per il gestore, più il 7% di remunerazione garantita del capitale investito, pagato dagli utenti.
- creazione degli ATO , Ambito Territoriale Ottimale, con precisi riferimenti territoriali: il SII deve essere gestito da un unico soggetto affidatario
- Creazione degli AATO , Autorità d’ambito Territoriale Ottiamale, cioè un organo supervisore composto dai Comuni (proprietari delle reti), con funzione di controllo, monitoraggio e indirizzo d’esercizio
Il compito principale dell’AATO è quello di stilare un Piano d’Ambito, che stabilisce:
- metodo di affidamento della gestione
- durata dell’affidamento
- caratteristiche qualitative del servizio
- piano degli interventi
- tariffe applicabili: essendo il sistema idrico defiscalizzato, la tariffa deve coprire l’intero costo.
Per perseguire l’obiettivo fissato, la legge Galli prevede tre possibilità di delega della gestione dell’acqua da parte dello stato:
- Assegnazione diretta a una società pubblica (affidamento in-house)
- Assegnazione diretta a una società mista, in cui la maggioranza, pubblica, avrebbe scelto un partner privato tramite una gara.
- Concessione a un privato tramite gara pubblica.
In 18 anni di legge Galli, la maggior parte dei gestori delle reti è rimasto pubblico, alcuni sono misti (partnership Pubblico-Privato, ma a prevalenza pubblica), mentre pochissimi sono privati. Alcuni gestori sono quotati in borsa (ad esempio a2a).
La mappa mostra come, ad oggi, su 92 ATO, solo 72 sono stati affidati a società così ripartite:
- 34 affidamenti in house
- 13 società quotate
- 12 S.p.A. miste
- 7 gestori transitori
- 6 concessioni a terzi (privati)
Da sottolineare che, ad oggi, ben 20 ATO non hanno un gestore in regola!
Queste infatti sono situazioni in cui i comuni, o i vecchi consorzi, gestiscono ancora direttamente il servizio idrico, senza la benchè minima integrazione, con contratti rinnovati in deroga da più di 16anni.
La situazione attuale è quella in cui i Comuni hanno preferito crearsi delle società “in casa”, nelle quali poi poter decidere chi metterci a capo ed assegnare gli incarichi al suo interno, non risolvendo il conflitto d’interessi, essendo i comuni sia regolatori e controllori tramite l’aato, sia gestori, e quindi controllati, tramite le società pubbliche.