LECCO – Nel caldo mese di luglio il Consiglio Comunale dovrebbe annualmente avviarsi ad approvare il Piano annuale al diritto allo studio. Che si è finora tradotto sostanzialmente nella devoluzione di più di un milione di euro alle scuole dell’infanzia paritarie.
In passato il Piano ha sempre avuto i voti della maggioranza e non solo della maggioranza, per una abile confusione retorica promossa dall’attuale Sindaco. Ovvero che la scuola “paritaria”, con i suoi obblighi e i suoi diritti, svolge una funzione pubblica.
Cosa del tutto vera, stando alla lettera della Costituzione e alla legge istitutiva della scuola paritaria…Ma l’affermazione seguente non assorbe in sé il dettato Costituzionale che impedisce al pubblico di devolvere denaro per il funzionamento delle scuole che abbiano ottenuto la parità.
Inutilmente le mie osservazioni, volte a spostare di piano l’attenzione sul problema, in quegli anni hanno trovato spazio. Perché riassorbite dentro il sillogismo che una funzione siccome è pubblica, anche se gestita dai privati, deve essere finanziata in nome della sussidiarietà.
Continuo a pensare che quella identificazione, che pure è la filosofia più generale, di questa Amministrazione, ma anche di quelle che l’hanno preceduta, negli ultimi decenni, sia sbagliata nel caso della scuola, più di ogni altro, anche in ragione della esplicita normativa Costituzionale.
E continuo a pensare che lo scontro sul tema, magari anche attraverso il ricorso a un referendum comunale, debba essere di ultima istanza. Che non vuol dire che non lo si deve affrontare. Anzi. E tuttavia, prima di affrontare una tale prova, bisognerebbe riprovare ad affrontare il problema in termini specifici.
Due sono i livelli di ragionevolezza, cui il Comune potrebbe mettere mano. Il primo, diciamo, potrebbe avere come principio, mutuato da altri, quello della “libertà di scelta”. In questo caso a favore delle famiglie che opterebbero per il pubblico. Che dovrebbe indurre a istituire scuole pubbliche, come si è fatto in passato, pur in presenza della ideologia che ho sopra indicato.
La scuola dell’infanzia, è paritaria al 70% delle presenze, valore che si abbassa drasticamente nelle elementari e nelle medie superiori e inferiori, dove si attesta su un 30%. E’ del tutto evidente allora che quella è prudenzialmente la media di una “vera” scelta fatta nel nome della “libertà educativa”.
Se ne dovrebbe trarne la conseguenza che c’è un gap del 40% di bambini iscritti alle scuole dell’infanzia che non viene messa su un piano di pari opportunità. In cui prevale la qualità dell’offerta formativa, rispetto alla sua domanda. E questo a discapito di chi vorrebbe scegliere il pubblico ma non può.
Il secondo punto riguarda il fatto che le nostre scuole dell’infanzia paritarie raccolgono bambini che provengono da altri Comuni in una misura del 30%. Un 30% di bambini a cui fa supplenza economica (circa mille euro l’anno) lo stesso Comune di Lecco, che si avvia a diventare, se un tal premio venisse istituito, il Comune “sussidiarione” per eccellenza. Paga per tutti, per lo Stato che non dà i soldi e non istituisce scuole, per la Regione che ne devolve un miserabile 3%, per gli altri suoi comuni circonvicini. Ben felici di non spendere un euro, né in nuove scuole, né in altro.
Ed emerge proprio qui la contraddizione, perché se la frequenza deve essere gratuita per le famiglie, non si capisce perché lo debba essere per i Comuni, visto che vogliono svolgere funzioni di sussidiarietà. Con i soldi degli altri. Tanto più, ed è cosa importantissima, che la legge Regionale parla del Comune o dei comuni, in forma associata.
Queste due ragioni, dovrebbero portare a concludere, che per ragioni di ragionevolezza, il Comune di Lecco, anche come capoluogo, debba procedere, non a chiudere i rubinetti a tutte le scuole dell’infanzia privati, ma a permettere l’apertura di un numero maggiore di scuole pubbliche. Sulla base di un ragionevole ma realistico e veritiero piano che si protragga nel tempo.
Evitando inoltre di supplire al ruolo degli altri Comuni circonvicini, che si fanno belli della “libertà di scelta” con i soldi degli altri, senza associarsi nel piano.
Sandro Magni.