RUBRICA – L’avvento di internet e l’ingresso dell’uomo contemporaneo in quella nuova forma di comunità che i social media rappresentano ha prodotto un impatto rivoluzionario sul nostro mondo emotivo. Come abbiamo già avuto modo di osservare, infatti, l’effetto della rete non è consistito tanto nell’amplificazione esponenziale di emozioni che erano già “patrimonio condiviso” dell’esperienza umana (gioia, tristezza, invidia, amore, ecc), bensì nella “creazione” di nuove esperienze o nell’attribuzione di nuove qualificazioni e caratteristiche ad emozioni “ereditate” dall’uomo pre-digitale (la solitudine, il senso di esclusione, l’onnipotenza, l’empatia, la vergogna, e via dicendo, hanno assunto qualificazioni tali da “cambiare la natura” di quelle stesse emozioni).
Moltissimo è stato scritto in questo ambito negli ultimi anni. Cerchiamo, in questo e negli interventi che seguiranno, solo di indicare alcuni degli effetti che sono stati meglio focalizzati dai ricercatori e condivisi in letteratura. Faremo qui riferimento in particolare ai testi “Psicopatologia del cellulare, dipendenza e possesso del telefonino” di Luciano Di Gregorio e “Perversioni in rete. Le psicopatologie da internet e il loro trattamento” di Giorgio Nardone e Federica Cagnoni.
Il primo aspetto che emerge da questi, come da altri, studi è assolutamente paradossale. Le possibilità offerte dai social media di condividere e divulgare i propri pensieri, opinioni, disposizioni, sentimenti ed emozioni produce un’omologazione dei contenuti anziché un arricchente proliferare delle diversità e delle singolarità delle esperienze. Quasi tutto ciò che trova spazio e condivisione nella rete è incredibilmente omologato ed omologante: stessi canoni di bellezza, seduzione, gusto, piacere, tristezza, successo, divertimento, che si accompagnano ad identiche attività, interessi, modi di stare insieme, ridere, giocare, piangere. Emozioni – tra l’altro – espresse con le stesse parole, locuzioni, aggettivi, descrizioni.
Ogni soggetto della rete si sente titolare di una singolarità irriducibile e di un’originalità unica, ma – a ben guardare – ciascuno rappresenta la singola voce di un grande “monologo collettivo” in cui si trova irrimediabilmente iscritto: le stesse facce felici dei compleanni e delle feste, le stesse pose per le foto di gruppo (concepite per essere “postate”), la stessa tristezza per un obiettivo mancato o un fallimento in cui si è incappati, e via dicendo.
Tutto ciò è effetto principalmente di due fattori che si intrecciano tra loro: l’esposizione dell’interiorità di cui abbiamo parlato nello scorso intervento e la modalità attraverso cui il “racconto di sé” avviene nella rete (per effetto dello strumento tecnologico). Nella misura in cui ciascuno scrive tutto di sé, non esiste più uno spazio privato da scoprire, a cui accedere, o a cui far accedere qualcun altro, in vista di una sintonia e di una conoscenza più profonda a cui ambire. Nessuno dispone di altri contenuti da comunicare che non siano quelli a tutti comuni.
Anche perché – e qui veniamo al secondo fattore – il tipo di comunicazione a cui la rete e lo strumento tecnologico costringono è assolutamente sintetica ed orizzontale. Ossia, non c’è nessuna differenziazione di importanza, priorità, gerarchia in ciò che viene “postato”: tutti i contenuti si equivalgono, dalla cena tra gli amici alla nascita di un figlio, dal divorzio alla gita in bicicletta, dal commento relativo alla partita di calcio all’aforisma di Nietzsche o di Buddha.
Il tutto non può che essere ridotto a qualche immagine e poche righe che le accompagnano…
Riuscite a immaginare qualsiasi “classico” della nostra tradizione, dalla letteratura al teatro, dall’arte alla filosofia, (sui cui testi si è costruita l’emotività di tutti noi) ridotto a una serie di post?
Ecco dunque che questa esposizione ipertrofica di condizioni (anche) intime attraverso uno strumento molto povero di possibilità di articolazione produce un’indifferenziazione orizzontale ed un’omologazione pressoché assoluta del mondo emotivo e della possibilità di esprimerlo.
Questo è solo uno degli effetti dell’avvento dei social media sulle nostre emozioni. Passo passo parleremo anche di un’infantilizzazione dell’esperienza e della difficoltà a tollerare la distanza, dell’illusione di essere onnipotenti ed avere possibilità illimitate, di un esibizionismo alimentato dall’angoscia dell’anonimato, dell’esercizio di un controllo eccessivo delle persone che ci stanno a cuore, e via dicendo. Ma per oggi ci fermiamo qui.
Dott. Enrico Bassani
Psicologo – Psicoterapeuta
Via Leonardo da Vinci 15, Lecco
http://www.bassanipsicologo.it – info@bassanipsicologo.it – tel. 338.5816257
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