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MILANO – “Quello che è successo a padre Piero non fermerà l’attività del Pime in Bangladesh, i missionari dovranno stare più attenti ma i nostri sforzi in favore della popolazione non si ridurranno”.
Padre Giorgio Licini del Pontificio Istituto per Missioni Estere conferma l’impegno del gruppo missionario all’indomani dell’agguato subito dal lecchese Piero Parolari, ferito gravemente da alcuni colpi di pistola sparati da attentatori che, mercoledì mattina, lo hanno aggredito nella cittadina di Dinajpur.
Un clima che si sta facendo sempre più difficile per i cooperanti impegnati nel paese asiatico: quello al missionario lecchese è infatti il terzo attentato nei confronti di stranieri, il secondo nei confronti di un italiano; il 28 settembre scorso era stato ucciso Cesare Tavella, raggiunto da tre colpi di pistola alle spalle nella città di Dacca.
“C’è una situazione di tensione tra governo laico, musulmani moderati e l’opposizione dei movimenti islamisti – prosegue padre Licini – alcuni vedrebbero questi attentati nei confronti di cooperanti più come una questione di politica locale che un ordine dell’Isis. E’ comunque da inquadrare nell’alveo dell’estremismo politico-religioso”.
In queste settimane si paventava il rischio di nuovi attentati: “Sapevamo che i pastori protestanti avevano ricevuto delle minacce, la polizia aveva consigliato anche ai nostri missionari di cambiare le loro abitudini negli spostamenti, ma padre Piero non aveva mai avvertito questa necessità e ha sempre fatto lo stesso percorso dalla missione all’ospedale. Forse per questo è diventato un bersaglio facile”.
Sono una trentina i missionari del Pime impegnati in Bangladesh, una delle missioni più antiche per il gruppo, presente nel paese dal 1895. Tre di loro sono lecchesi: oltre a padre Piero Parolari sono impegnati nel paese anche padre Gianpaolo Gualzetti e padre Pierluigi Corti.
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