Lo speleosub lecchese Gigi Casati premiato con il Tridente d’Oro

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Luigi 'Gigi' Casati, lo speleosub lecchese sarà premiato con il Tridente d'Oro

LECCO – E’ l’uomo delle profondità, degli abissi oscuri, degli ambienti inesplorati e delle straordinarie scoperte celate in un mondo sommerso, tra acqua e roccia: è un lecchese, Luigi Casati, classe ’64, speleosub di fama internazionale e il prossimo 3 marzo sarà omaggiato del Tridente d’Oro, il prestigioso premio assegnatogli dall’Accademia Internazionale di Scienze e Tecniche Acquatiche.

Il riconoscimento gli sarà conferito in occasione della European Dive Show (Eudi) di Bologna, la più nota manifestazione espositiva europea interamente dedicata al mondo della subacquea. Lo abbiamo incontrato, in attesa di questo importante appuntamento:

“Ho iniziato a fare immersioni quando avevo 14 anni – ci racconta – tutto è nato frequentando un negozio di Belledo, il Foto Rota, il titolare era un amante di subacquea e lì si radunavano tanti altri appassionati. Con loro ho fatto le prime uscite al lago e successivamente ho partecipato ad un corso realizzato dal Cpas, l’associazione sportiva dilettantistica per sommozzatori di Pescate. Dopo il militare ho deciso di intraprendere questa carriera nel gruppo speleologo lecchese del CAI”.

E’ però un incontro fortuito a segnare la vita di Gigi, allora poco più che un giovanotto: “Era il 1986, un gruppo di speleosub svizzeri, diretti ad esplorare una grotta nel varesotto, hanno dovuto cambiare la propria destinazione e hanno domandato una meta alternativa a Paolo Cesana, presidente del nostro gruppo. E’ così che ci siamo ritrovati tutti alla grotta di Fiumelatte a dare supporto a Patrik Deriaz, uno dei più noti speleosub al mondo”.

Ad immergersi quel giorno nella località di Varenna c’era con loro anche Jan Jacker Bolance, per Casati un maestro: “Da allora mi ha preso sotto la sua ala, ho imparato tanto da lui e molto velocemente. Abbiamo condiviso 20 anni di vita in giro per il mondo. E’ morto in un incidente in una grotta in Grecia. Sono passati dieci anni da allora”.

I rischi sono tanti, estremo è l’aggettivo più ricorrente per la speleosubacquea, così come l’ambiente in cui si trova ad operare chi ne è esperto. Ma qual’è il ‘lavoro’ dello speleosub?

“Esploriamo posti che nessuno ha mai visitato prima, ambienti ipogei. Oggi si guarda allo spazio per le nuove esplorazioni, quando invece, sotto il livello del mare, abbiamo visto ancora ben poco se pensiamo che il nostro pianeta è ricoperto d’acqua per il 70% della sua superficie. Ambienti sconosciuti che devono essere catalogati, reperti rimasti per millenni nascosti e che vengono portati alla luce. In Grecia abbiamo trovato dei fossili di ippopotamo risalenti a 20 mila anni fa, così come le ossa di una pantera ancora più antichi, di oltre 30 mila anni, ritrovate nella grotta di Diros, sempre in Grecia, o in Messico dei reperti di origine Maya. E’ una disciplina che incrocia un ampio ventaglio di scienze, dalla biologia alla geologia, dall’idrologia alla paleontologia”.

Il fossile di pantera rinvenuto in una grotta in Grecia. Le foto in pagina sono tratte da www.prometeoricerche.eu di Gigi Casati

Di qui la collaborazione con università e ministeri ma spesso, racconta Casati, sono radi sponsor privati a finanziare le spedizioni. “Serve molta passione per fare questo mestiere” dice lo speleosub lecchese e questa sua intraprendenza lo ha portato in diversi angoli del globo: nei Balcani, alle Filippine, in Messico, Marocco, nella vicina Francia e nelle zone carsiche dell’Italia. La ‘sua’ profondità maggiore? “Circa 240 metri sott’acqua in una grotta in Croazia”.

Ma come ci si prepara per ad affrontare un immersione di questo tipo? “Come in tutte le attività, l’aspetto psicologico è la parte più importante, quando la testa ti aiuta a superare gli ostacoli allora è più facile progredire, ovvio che serve anche l’allenamento fisico e l’esperienza per raggiungere livelli migliori. Ho lavorato tanto sott’acqua ma per allenarmi sto anche lontano da laghi o mare, faccio camminate in montagna, scalo, faccio parapendio, mi piace divertirmi anche quando fatico, la palestra non fa per me – ride – come nella più tradizionale attività subacquea, la risalita è il momento dove bisogna prestare maggiore attenzione, per scongiurare il rischio di embolia, possono essere necessarie anche quattro o cinque ore per una risalita in sicurezza”.

Le ultime imprese di Casati sono state in Croazia, “abbiamo esplorato chilometri di nuove gallerie in due sorgenti diverse, questo inverno avevamo in programma un’altra esplorazione in Friuli, abbiamo dovuto rinunciare per il meteo avverso. Per il 2018 vedremo, penso ad una grossa spedizione di nuovo in Croazia, ma non è detto che non si faccia qualcosa di più vicino, come la grotta Lacca della Bobbia di Barzio, dove si è giunti a circa 1,2 chilometri di progressione dall’ingresso; un’alternativa è una sorgente in provincia di Varese, oppure in Toscana o in Svizzera”.

Che consigli darebbe a chi vuole avvicinarsi alla speleosubacquea? “Fortunatamente per le future generazioni c’è la possibilità di imparare da ciò che già esiste, la mia generazione ha dovuto sperimentare tecniche e materiali che negli anni hanno conosciuto un miglioramento notevole. Chiaro è che parliamo di un’attività estrema, il corpo è sottoposto ad uno stress importante, ed è anche poco appariscente se vogliamo, se faccessi lo snowboarder tutti vedrebbero le mie evoluzioni. Si rischia molto e serve decisamente una forte passione. Ma sott’acqua è l’emozione è tutta tua, i luoghi che puoi ammirare sono straordinari, a volte le sensazioni sono impossibili da spiegare”.