COLICO – Un luogo dove il tempo pare essersi fermato tra lago e montagne, in una cornice suggestiva e carica di spiritualità: l’Abbazia di Piona ha oltrepassato i secoli e giunge a noi intatta, nel suo patrimonio storico, meta dell’interesse di migliaia di visitatori ogni anno, e autentica, nella vita della comunità dei monaci che li vi risiede.
Situata sulla penisola Olgiasca, la si raggiunge da Piona, seguendo la strada che costeggia il lago, per poi salire verso la località che dà il nome al promontorio ed inoltrarsi lungo una strada ciottolata per circa due chilometri. Lì, isolata da tutto e circondata dalla bellezza della natura, era stata edificata in origine l’antica chiesa di San Giustina, risalente all’epoca Medioevale, precedente alla realizzazione del priorato e all’attuale chiesa di San Nicola, realizzata nel XII Secolo e il bellissimo chiostro interno.
Le statue di San Benedetto, di San Bernardo di Chiaravalle e della Santa Vergine accolgono viandanti e visitatori lungo l’accesso per l’abbazia. “Il nostro ordine è chiamato dei Cistercensi, da Cistercium, nome latino della città francese di Citeaux ai margini della quale, in una zona palustre e disabitata, un gruppo di monaci decise di risiedervi, costruendo il loro convento e rifacendosi ai principi benedettini che, dopo il Medioevo, stavano subendo un declino. Da Citeaux, il nuovo ordine si diffuse con la nascita di altre comunità monastiche. Piona è una fondazione dell’abbazia di Cruny”. A parlarcene è padre Ludovico Valenti, priore dell’abbazia della località colichese.
“L’attività monastica a Piona si concluse nel 1400 e quattro secoli dopo la Repubblica Napoleonica Cisalpina, che aveva incamerato i beni della chiesa e tra questi anche i monasteri, vendette l’abbazia ai privati, finché, in tempi più recenti, nel 1939, l’ultima famiglia di possidenti, i Rocca di Pianello Lario, decise di invitare i cistercensi ad inviare una propria comunità in questo luogo”. Da allora, i monaci sono tornati ad abitare l’abbazia, seguendo i principi insegnati da San Benedetto.
“La preghiera innanzitutto, e il lavoro fisico – prosegue padre Ludovico – che è stato rivalutato dai cistercensi: se in passato i monaci benedettini si occupavano sopratutto della trascrizione dei testi antichi, l’ordine Cistercense ha guardato più alla fatica fisica, all’impegno nelle campagne. Nella nostra abbazia il lavoro agricolo è la principale occupazione dei monaci. Abbiamo un uliveto, piante da frutto, sono circa 5 ettari di terreno coltivato ed è tutto lavoro sostenuti dai monaci, senza aiuti esterni. C’è l’attività di erboristeria, con la produzione di tisane, e la liquoreria”.
Il frutto dell’impegno dei monaci è non solo per consumo interno all’abbazia ma è in vendita ai visitatori, presso il negozietto situato all’ingresso del priorato. Tra questi prodotti, ci sono anche liquori come le Gocce Imperiali, un distillato di erbe utilizzato a gocce appunto per il loro altissimo grado alcolico (90°), utili per le particolari proprietà digestive.
Come detto, la preghiera assume un ruolo primario nella vita del monaco e ne scandisce la giornata: “La mattina inizia all’alba, alle 5.30, con la preghiera notturna e la messa cantata che si conclude alle 8, al momento della colazione – spiega il priore – segue l’attività di lavoro fino alle 11 quando viene dato spazio alla meditazione e allo studio delle scritture. Alle 12.30 si celebra la messa, poi il pranzo e di nuovo il lavoro fino alle 17, dopodiché viene dato di nuovo tempo allo studio e alla lettura. Il canto dei vespri in chiesa anticipa la cena. Alle 20.30, ogni sera, la comunità si riunisce nella sala capitolare per la lettura spirituale. La recita della Compieta è l’ultima parte della preghiera monastica e il Salve o Regina conclude la giornata”.
Oggi sono 15 i monaci che fanno parte della comunità dell’abbazia: “Non tutti sono monaci sacerdoti, per la verità solo sei di noi sono sacerdoti. C’è chi ha deciso di abbracciare questa vita ma non ha affrontato gli studi teologici per accedere al sacerdozio, sono comunque monaci a tutti gli effetti. Alla base c’è sempre la chiamata di Dio che ognuno sperimenta a proprio modo e che ci spinge verso direzioni diverse, dal sacerdote di parrocchia al missionario, a seconda delle nostre attitudini. La scelta di aderire ad un ordine come quello dei Cistercensi può essere legata alla necessità di un luogo dove poter stare in armonia, cogliere il silenzio, e allo stesso tempo vivere la fatica del lavoro manuale. Presto due giovani, qui, vestiranno l’abito monastico. Per un anno sperimenteranno la propria volontà, seguiti nella formazione da un padre maestro, dopodiché, se la loro vocazione è autentica, prenderanno i voti di povertà, castità, obbedienza, ai quali si aggiunge quello di stabilità, che vincola il monaco a risiedere nello stesso monastero dal quale potrà trasferirsi solo per cause di forza maggiore” prosegue padre Ludovico che quest’anno festeggia i suoi 50 anni di attività a Piona.
“Non è un allontanamento dal mondo, la scelta non può essere giustificata dal desiderio di fuggire da una società convulsa, la vocazione è un richiamo a qualcosa di più alto, si lascia la propria vita, a cui magari si era affezionati, per spenderla nell’amore di Dio e del prossimo. Le motivazioni devono essere genuine e ispirate dal Signore”.
A testimoniare la condizione di inclusione nella vita della comunità fuori dall’abbazia è il rapporto con il territorio e con i visitatori, quasi 20 mila ogni anno, che si recano al priorato: “Abbiamo una grande apertura verso quella che è oggi la società, iniziando dalle necessità della Chiesa, sostenendo localmente i bisogni delle parrocchie – dice padre Ludovico – ai turisti offriamo accoglienza sotto vari aspetti, c’è una foresteria dove possono stare in ritiro, effettuiamo visite guidate con l’accompagnamento di un monaco, accogliamo continuamente persone che vengono qui per cercare un consiglio, una guida interiore e spirituale e sanno che nel monastero possono trovare un riferimento”.