LECCO – “Un tempo a Lecco tra via Seminario a Castello fino in alto a via Mazzucconi era una ditta unica. Le trafilerie erano una attaccata all’altra, capannoni più o meno grandi, lavori che si tramandavano di padre in figlio, di generazione in generazione. Oggi di quelle produttive realtà non rimangono che stabili vuoti e abbandonati, in alcuni casi, come il mio, solo macerie”.
Il ricordo è di Giovanni Orlandi, 71 anni. La sua ditta, la vecchia Fratelli Orlandi Snc, in queste settimane è stata demolita per lasciare spazio a nuove case. Un pezzo di Rancio che cambia, lasciandosi definitivamente alle spalle un glorioso passato industriale, che ha reso Lecco famosa (anche al di fuori dei confini nazionali).
Siamo nel giardino del signor Orlandi, all’inizio di via Mazzucconi, tra le ruspe e i resti dei capannoni che hanno rappresentato la sua vita fino alla pensione. “Lì – ci dice indicando un cumulo di macerie – sorgeva il capannone costruito da mio padre Giuseppe negli anni ’50. A fianco c’era un altro stabilimento produttivo e gli uffici, un tempo sede delle Trafilerie San Giovanni. Tre anni fa abbiamo venduto ad un’immobiliare che realizzerà tre villette”. L’unico edificio ancora in piedi, sempre officina della Fratelli Orlandi Snc, verrà interamente ristrutturato: “Ospiterà un loft, oggi vanno molto di moda” ci dice scuotendo la testa.
“Sapevamo che prima o poi sarebbe successo, ma vedere abbattere il lavoro di una vita fa pensare, e sale la nostalgia. E’ un peccato che sia finita così, un tempo qui c’erano le aziende più produttive di Lecco”.
Il signor Orlandi vive nella casa che era di suo padre, insieme alla figlia Irene. Al piano di sotto uno dei suoi due fratelli, Piero e Ercole, che con lui avevano portato avanti l’attività avviata nei primi anni ’50. “Ogni casa aveva a fianco l’officina – ricorda – mio padre aveva iniziato lavorando alle dipendenze della ditta Bonaiti (dalla quale negli anni ’80 è nata l’azienda Kong, ndr) qui sopra, sempre in via Mazzucconi. Poi nel ’54 aveva costruito il primo capannone nel giardino e si era messo a lavorare il filo piegato. Io e i miei fratelli siamo entrati e poco dopo è nata la Fratelli Orlandi snc. Facevamo diversi lavori: la parte ‘del leone’ la facevano le piegatrici, poi avevamo una piccola torneria. Producevamo qualsiasi tipo di minuteria metallica: elementi per i lampadari, per i tendaggi ma anche manici per le pentole e molto altro. Poi ci siamo specializzati in fibbieria e grazie alle piegatrici automatiche realizzavamo un particolare tipo di fibbia che esportavamo anche all’estero, in particolare in Francia”.
Il signor Orlandi ha fatto le scuole commerciali, ma la sua passione è sempre stata la meccanica e il lavoro manuale: “Ho iniziato come impiegato, ma ben presto ho capito che non faceva per me! Così ho iniziato ad andare in officina con mio papà, lo guardavo lavorare e imparavo. Alla fine quella è diventata la mia mansione, facevo andare e controllavo le 25 macchine che avevamo in stabilimento, una ventina di piegatrici, torni e altri macchinari”. Quando l’azienda andava bene si lavorava dalla mattina alle 6 fino anche alle dieci di sera: “Avevamo una decina di operai – ricorda il signor Orlandi – se c’era tanto lavoro mio padre saliva in officina alle sei-sette di mattina, poi io andavo su la sera quando finivano i turni, alle sette, e facevo andare le macchine fino alle dieci, se serviva oltre. C’è da dire che proprio per la nostra versatilità non abbiamo mai patito veramente la crisi: se un settore iniziava ad andare male ripiegavamo su un altro, e così per anni ce la siamo cavata bene, rispetto ad altri concorrenti”.
Questo anche grazie ad un’innovazione importante nei macchinari, come raccontato: “Mio papà nel 1950 aveva costruito un nuovo tipo di piegatrice a maglio automatica. Aveva visto queste macchine in Germania, quando lavorava in Bonaiti, e ha deciso di riproporla. Un’intuizione importante perché in questo modo il filo veniva lavorato praticamente in automatico e il maglio cadendo gli dava la forma definitiva. Oggi questi macchinari ci sono ancora, ovviamente si sono evoluti e sono diventati silenziosi, ma ai tempi era un concerto di colpi che risuonavano in tutto il rione, ‘pim pom pum, pim pom pum’ – mima Giovanni – le piegatrici mandavano 60 colpi al minuto, vale a dire un colpo al secondo, puoi immaginare!”. Nonostante la vicinanza del Gerenzone, ‘linfa’ di molti stabilimenti, la ditta dei Fratelli Orlandi per alimentare i macchinari utilizzava l’acqua delle sorgenti vicine all’azienda: “Non affacciando direttamente sul fiume usavamo queste fonti, di acqua qui sotto ce n’è ancora tantissima, adesso che stanno scavando in giardino si vede”.
La memoria fa un altro salto indietro nel tempo: “Una volta al mese arrivava il camion con il materiale da lavorare, da Vicenza. Avevamo una ribalta e il carroponte che agganciava la merce e la portava dentro dalla via Mazzucconi. Se il carico era maggiore e il camion più grosso però non arrivava fino alla ditta, allora si fermava giù al ponte di via Fucini e si andava a piedi col carrello a prendere tutto il materiale. C’era un progetto già autorizzato per fare una strada sopra che da via Don Bosco (quella che oggi sale dopo la Birreria Marylin, ndr) portasse fino al capannone ma tutto è rimasto fermo”. Viene spontaneo chiedere se non c’era concorrenza tra le ditte. Il signor Orlandi sorride: “C’era competizione, certo. Eravamo tutti vicinissimi e stavamo attenti a non far vedere i nostri lavori e i nostri macchinari, bastava davvero poco perché uno ‘buttasse l’occhio’ e copiasse qualche idea. Facevamo un po’ le cose di nascosto, gelosi ciascuno del proprio lavoro”.
Giovanni come raccontato si è ritirato dall’azienda pochi anni prima di raggiungere la pensione: “La prematura scomparsa di mio figlio e la successiva scomparsa di mia moglie, mi hanno portato nel 2004 a lasciare la mia parte a una nipote. Tre anni dopo i miei fratelli hanno deciso di spostare la sede della ditta a Valmadrera, il lavoro però era sempre meno, la crisi sempre più incalzante e non siamo stati favoriti”.
A ricordare gli ultimi anni dell’azienda Fratelli Orlandi Snc è stata la nipote Anna Orlandi: “A seguito della scoperta della malattia di mio padre Piero e della sua impossibilità di seguire costantemente l’azienda, abbiamo deciso di optare per la cessazione dell’attività senza danneggiare i dipendenti e cercando di limitare il più possibile ripercussioni sui fornitori e sui clienti,optando per la cessione del ramo d’azienda, così da garantire la continuità per tutti. In seguito a questo è stata avviata la procedura di concordato che in questi giorni è in fase di chiusura, avendo mio padre provveduto a liquidare tutti i debiti con i risparmi di una vita. Per lui l’onestà, l’onore e la rispettabilità sono sempre stati fondamentali sia nella vita che nel lavoro”.
Giovanni ci porta a vedere la piegatrice automatica costruita nel ’50 da suo padre Giuseppe, poi torniamo in giardino ad osservare i resti della ditta. La demolizione è terminata, si aspetta il camion che dovrà portare via le macerie, poi arriverà l’Arpa a fare le misurazioni, prassi comune quando si deve edificare sopra un sito industriale. Il signor Orlandi sospira: “E’ un pezzo di storia che se ne va, mi rincresce, anche perché mi piaceva molto il mio lavoro. Ho più di 70 anni oggi ma ho ancora voglia – si lascia al dialetto – di fa andà i man (fare andare le mani, lavorare, ndr). Posso dire che mi rattrista vedere i sacrifici di una vita andati in macerie?”. Come dargli torto…
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