DERVIO – Trenta anni fa, il 14 marzo 1984, moriva tragicamente a Dervio Alfio Bettega, ucciso mentre stava cercando di contrastare gli autori di un tentativo di rapina ai danni di una gioielleria del paese.
Alfio era nato a Bellano il 31 gennaio del 1942 da una famiglia numerosa composta da due sorelle e tre fratelli. Già da bambino si dimostrava di animo generoso, frequentando la Parrocchia sia come chierichetto poi come sagrestano. Quotidianamente caricava l’orologio del campanile, in quei tempi funzionante ancora a molla. In paese era conosciuto soprattutto per la sua disponibilità verso il prossimo, specialmente le persone anziane e bisognose.
Amava la musica e suonava la tromba nella banda di Dorio, il suo paese. Poi dopo essersi sposato con Rina si trasferiva a Dervio, lavorando alla Redaelli e diventando membro attivo del sindacato dell’azienda di cui faceva parte. Continuava il suo impegno nel patronato svolgendo il suo compito con altruismo e dedizione verso chi aveva più bisogno. Viveva con gioia, senza mai uno screzio o malumori con nessuno.
Il 14 marzo 1984 un proiettile lo trafisse, un solo colpo ma fatale, sparato dalla mano assassina di un poliziotto che invece di compiere il suo ruolo istituzionale stava indegnamente compiendo una rapina nella gioielleria del paese. In quel giorno si fermò la sua vita e la sua voglia di fare con l’altruismo che l’aveva sempre contraddistinto, lasciando la sua famiglia amatissima con la moglie e il figlio Cristian, un bambino di solo 4 anni.
L’Amministrazione Comunale, per ricordare anche alle nuove generazioni il significato ideale del suo sacrificio, decise di intitolargli la palestra comunale presso le scuole elementari, che oggi porta il suo nome.
“A trenta anni di distanza rimangono intatti i valori che hanno contraddistinto la sua persona – sottolinea il sindaco Davide Vassena – ed è con questo spirito che tutta la comunità derviese lo vuole ricordare in questo anniversario come esempio di onestà e di generosità così assolute da costargli il sacrificio della sua stessa vita”.