Venerdì, all’età di 77 anni, si è spento Adriano Galli, l’ultimo Maestro d’Ascia del Lago di Lecco. Con lui finisce un lungo capitolo di storia della nostra città e della vita lacustre; con lui svanisce non un semplice lavoro, non un’antica professione, ma una vera e propria arte: quella del ‘barchiroeu’ (barcaiolo) le cui radici si perdono nella notte dei tempi.
Barcaiolo lui, dopo aver raccolto l’eredità dal padre e prima ancora il nonno. Comballi, Lucie, semplici imbarcazioni di legno, dalla loro bottega ne sono uscite un’infinità. Impossibile stabilirne il numero. Tempi lontani quelli, quando il lago era un vero e proprio mondo e dava da lavorare a molte persone. Poi le cose sono cambiate: l’economia, il lavoro, gli stili di vita, con le vetroresine che hanno preso il posto del legno e così hanno fatto le nuove tecnologie nei confronti della sapiente mano del barcaiolo capace con le sue alchimie di unire legno e acqua.
Adriano capisce che con le sole barche non si può tirare avanti. Serve altro. Approda così alla Sae dove ci rimane per oltre 35 anni, una vita. Ma quella bottega in cui con mano sapiente forgiava il legno per dare prima forma e poi anima alle sue barche, non l’ha mai chiusa.
Il piccolo cantiere antico, posto tra via Adda e via Bezzecca, proprio di fronte al lago, è sempre stato aperto divenendo un punto di incontro per clienti, amici, parenti, semplici conoscenti. “Galli Beach” l’hanno ribattezzato i suoi 4 nipoti, segno dei tempi che cambiano, ma con Adriano si respirava sempre quel sapore antico, che si puo’ ancora gustare semplicemente ammirando le sue splendide creazioni ormeggiate davanti alla bottega.
Durante gli anni alla Sae Adriano apriva il cantiere in alternanza con i turni di lavoro, poi, con il pensionamento, riprese ad aprire con regolarità. Non passava giorno in cui non fosse lì a coccolare le sue barche.
“Era un gran lavoratore – ricorda Alessandro Pozzi che ha frequentato per un certo periodo la sua bottega -Pensare che una sola persona in grado di realizzare una barca partendo dallo scheletro ha dell’incredibile. Eppure Adriano in questo era un maestro. Eppure, lui mi diceva sempre: ‘ricorda, se sai fare il remo, sai fare anche la barca’. Perchè il remo, per semplice che possa apparire all’occhio dei profani, è un attrezzo complicatissimo da realizzare in quanto la pala è sagomata in modo particolare; è leggermente ricurva e per riuscire piegare in quel modo il legno, bisognava avere una profonda conoscenza del mestiere, senza contare la malizia. Caratterialmente mi viene da paragonarlo a un albero: forte, tutto d’un pezzo, ma dentro dove scorre la linfa, vivo come non mai: ecco, Adriano era così”.
“Era una persona sensibile – aggiungono le figlie Alessandra e Nicoletta – a differenza di quello che poteva apparire”.
“Però quando si arrabbiava era meglio non stargli vicino”, aggiunge la moglie Alma che trova anche la forza di scherzare un po’. Poi abbassa gli occhi e con voce sommessa prosegue: “Era una persona alla quale piaceva stare in mezzo alla gente, un uomo amabile…”.
Di quell’uomo amabile, che ha dato vita a tutte le barche in legno che hanno solcato le acque del Lario, nessuno ha ereditato l’arte. Con Adriano finisce la stirpe dei barcaioli, e domani, sabato, prima dei funerali che verranno celebrati nella Basilica di San Nicolò, alle 15.30, la salma verrà portata nel suo cantiere dove anche le sue barche e il suo lago potranno salutarlo per l’ultima volta.