Al processo Gilardoni. “Se vuoi lavorare qui, ti prendi gli insulti”

Tempo di lettura: 4 minuti

La testimonianza di Alessandro Ballabio, ex lavoratore della Gilardoni di Mandello

“Ricevevamo offese tutti i giorni, bisognava resistere”

 

MANDELLO – “Sai che lavori in Gilardoni? Se vuoi lavorare qui è così, ti prendi gli insulti come tutti gli altri ”

E’ quanto si sarebbe sentito dire Alessandro Ballabio, ex lavoratore dell’azienda mandellese, da Roberto Redaelli, all’epoca responsabile del personale della fabbrica produttrice di macchinari a raggi X.

E’ lo stesso Ballabio a raccontare la vicenda, chiamato a testimoniare al tribunale di Lecco sulla sua esperienza alla Gilardoni di Mandello. Nella stessa udienza di mercoledì mattina è stata ascoltata anche Elena Colombo, storica dipendente della Gilardoni, in forze all’azienda dal 1999 e licenziata nel 2015.

Roberto Redaelli, ex capo del personale della Gilardoni

La donna è stata recentemente riassunta dopo la nomina a presidente di Marco Gilardoni, figlio dell’ex titolare Cristina Gilardoni, principale imputata al processo insieme all’ex braccio destro Redaelli.

Entrambi, Ballabio e Colombo, rispondendo alle domande del pubblico ministero Silvia Zannini, hanno raccontato una storia di soprusi sul posto di lavoro. “Ricevevamo offese di qualsiasi genere, a cui difficilmente una persona resisterebbe, ma purtroppo bisognava lavorare” ha spiegato Ballabio nella sua audizione.

“Le urla della signora Gilardoni erano quotidiane. Io lavoravo in un ufficio separato dell’open space solo da un vetro, ma si vedeva e si sentiva tutto ciò che accadeva dall’altra parte”ha proseguito Ballabio.

L’inizio della fine

I rapporti con la direzione, per lui, iniziarono a complicarsi nella primavera del 2013: “Facevamo riunioni incentrate sul controllo dei dati aziendali, la signora temeva che potessero essere trafugati – ha spiegato l’ex lavoratore – sospettava anche di dipendenti infedeli. Avevamo ricevuto la demo di un programma che permetteva di registrare tutto ciò che veniva visualizzato a video dai pc e digitato attraverso le tastiere. Mi chiesero di installare il software sui computer di alcuni dipendenti, ma io non feci nulla”.

Maria Cristina Gilardoni, ex presidentessa e socia di maggioranza

Un rifiuto che avrebbe segnato la sua vita lavorativa in Gilardoni: “Da quel momento ci fu un atteggiamento diverso nei miei confronti. Venivo attaccato per qualsiasi cosa dalla signora Gilardoni mi urlava contro. ‘Lei è un lazzarone, cosa è qui a fare? Non sa fare il suo lavoro. Mi ruba i soldi’ mi sentivo ripetere. Ogni giorno dovevo compilare una nota con quanto fatto durante la giornata che mi veniva ogni volta contestata dalla signora e da Redaelli che mi dava del bugiardo, asserendo che in realtà non svolgevo quanto richiesto. Mi venivano date delle indicazioni al mattino e alla sera le regole venivano cambiate. Non potevo parlare con altri dipendenti, venivano sistematicamente interrogati sulle nostre conversazioni”.

L’episodio più grave, ha raccontato, si è svolto davanti ad altri dipendenti: “Lei è un cretino, un cazzone, un fannullone’ mi ha gridato contro la signora”.

Quella volta Ballabio reagì: “Ero stanco di prendere insulti, mi vergognavo pensando ai miei familiari, non me la sentivo di vivere una vita come quella. Le dissi di non permettersi e di scusarsi. Lei iniziò ad urlare ‘vada via cretino, portatemelo via’. In seguito scrissi una lettera pretendendo le scuse. Mi rispose Redaelli, secondo il quale mi ero inventato tutto”.

Ansia e attacchi di panico. “Di notte non dormivo”

Nel frattempo, le vicende lavorative si sarebbero ripercosse anche sulla vita familiare e sulla salute dell’ex dipendente:

“Di notte non dormivo, mangiavo pochissimo, a volte avevo crisi di pianto. Mi sono recato dal mio medico curante che mi ha prescritto del Lexotan per calmarmi. Ho pensato più volte di dimettermi ma non avevo alternative a questo lavoro. Una notte sono stato preso da attacchi di panico, la mattina mi sono recato nuovamente dal medico che mi diede 10 giorni di malattia e mi consigliò visite specialistiche, prima al Cps di Longone poi agli ospedali di Monza e Milano che confermavano la diagnosi: uno stato di ansia cronico e depressione”.

Ballabio non è più rientrato sul posto di lavoro. “Ogni giorno ricevevo lettere di richiamo da parte dell’azienda, anche per il mancato passaggio di consegne nei giorni successivi alla mia messa in malattia. Mi resi comunque disponibile a collaborare. La visione del postino mi agitava, ogni volta temevo arrivassero lettere di insulti”.

Il licenziamento

Nel luglio del 2013 è arrivata anche la lettera di licenziamento. “C’è voluto molto tempo per riprendermi, non uscivo di casa, non frequentavo più gli amici. Provavo vergogna. A mia figlia cercavo di non raccontare nulla, mia moglie faticava a rapportarsi a me, parlarmi era diventato più difficile, avevo scatti d’ira. Per fortuna ho iniziato a stare meglio, nel 2016 ho trovato un nuovo lavoro e ho interrotto le terapie e le visite mediche che fino a quel momento erano continuate”