Da Lecco a Expo: intervista allo scultore Pablo Atchugarry

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Pablo Atchugarry
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Pablo Atchugarry (a destra) col figlio Piero

 

LECCO – Nato a Montevideo (Uruguay) nel 1954, Pablo Atchugarry può definirsi figlio d’arte: è stato infatti il padre, grande estimatore, in particolar modo della pittura, ad infondergli questa passione, accompagnandolo nei suoi primi passi.

Il noto scultore “approda” a Lecco nel lontano 1978, anno della sua prima esposizione di quadri in Europa. Da allora, della città tra lago e monti si è innamorato, scegliendola come luogo per vivere. Tutt’oggi l’artista vive a San Giovanni mentre il suo laboratorio è a Sirone, in un capannone all’interno della ditta Autotrasporti Corti.

Proprio qui lo abbiamo incontrato, intervistandolo, per conoscere un po’ meglio Pablo Atchugarry e ciò che sta dietro alle sue opere, la cui fonte di ispirazione sarebbe, tra le altre, proprio la bellezza della nostra città.

Sig. Atchugarry immaginiamo che per la sua carriera avrà girato in lungo e in largo.. come mai ha scelto di rimanere proprio a Lecco?

“La prima volta che sentii parlare di questa città ero a Parigi, nel1977. Conoscevo la pittrice Carmen Lafranconi, fu lei a parlarmi di Lecco, dicendomi che avrei dovuto assolutamente visitarla. In quel periodo stavo preparando delle mostre di quadri, poiché ai tempi mi interessava la pittura, e decisi di passare da Lecco. Mi affascinò subito tutto della città, in particolar modo il suo lago e le sue montagne…un anno dopo allestivo la mia prima esposizione alla Galleria Visconti. Era la prima mostra delle mie opere allestita in Europa. Dopo di che girai per il continente per altre mostre e lavori, fino a che, nel 1982 tornai a Lecco per stabilirmi. Vivo qui da allora e ne sono felice”.

 

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Uno scorcio del laboratorio di Pablo Atchugarry, a Sirone

 

Lei ha iniziato come pittore dunque e si è poi “convertito” alla scultura: com’è successo?

“Bè la pittura è stato il mio primo approccio al mondo artistico anche per merito di mio padre che ne era un gran amante. In realtà la scultura mi ha sempre accompagnato, poi c’è stata la decisiva scoperta materiale del marmo: era il 1979 ed ebbi modo per la prima volta di lavorarlo, fu subito amore”.

 

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Però lavora diversi tipi di materiali.

“Certo, il marmo è sicuro il materiale che prediligo, nelle sue quattro varianti che amo definire ‘pennellate della natura’: lo statuario di Carrara, che è bianco, il marmo rosa, quello grigio e quello nero del Belgio. Ho lavorato anche col bronzo, con l’acciaio e col legno. Di fatto tra materiale e artista si instaura una sorta di dialogo: non è solo l’artista che sceglie il materiale ma viceversa, è anche il materiale che sceglie l’artista. Come insegnava Michelangelo, l’idea che mi guida nello scolpire è che l’opera vada solo fatta uscire dal blocco di materiale che ho davanti”.

 

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La scultura in legno d’ulivo “La vita dopo la vita” accoglie i visitatori di Expo al padiglione dell’Uruguay

 

Parlando di sculture in legno, la più recente è finita proprio ad Expo, è uno dei simboli del padiglione dell’Uruguay. Può raccontarci com’è andata?

“Cinque o sei anni fa cercavo del legno di ulivo per una scultura. Visitando un vivaio a Parma trovai un albero d’ulivo pluricentenario, mi dissero avesse addirittura 800 anni, lì trapiantato. Era oramai secco e morto e sarebbe diventato legna da ardere. La sua figura mi colpì, era come se mi chiamasse: era una pianta vissuta centinaia di anni ansiosa di raccontare i segreti della sua vita. Così, nella sua morte, ho capito che avrei dovuto dargli una nuova vita, a completamento del ciclo di cui tutti gli esseri viventi fanno parte. Lo feci portare nel mio laboratorio e tempo dopo iniziai a scolpirlo: quella meraviglia della natura era viva e aveva bisogno dell’arte per continuare il suo cammino. Casualmente mi chiesero di poterla esporre ad Expo: lì collocata la scultura, alta 5 metri e 30 centimetri, accoglie tutti i visitatori. L’ho chiamata ‘La vita dopo la vita’ “.

 

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“Abbraccio cosmico” è la scultura più alta realizzata da Atchugarry. La sua altezza è di 8 metri e 50 centimetri. L’unico blocco di marmo da cui è ricavata pesava 56 tonnellate

 

Tutte le sue opere hanno uno sviluppo verticale e non riproducono figure specifiche, può spiegarci perché?

“La mia attività di scultore, come per tutti del resto, è iniziata con dei riferimenti figurativi. Andando avanti si sono semplificati: nell’astrattezza di quei riferimenti ho trovato il modo di far emergere al meglio l’essenza della scultura. Si sviluppano verso l’alto perché si interrogano, come me, sul futuro, sullo spazio, sul tempo in cui si trovano ad esistere. Io dico che nel momento in cui siamo serve guardarsi dentro ed interrogarsi, è quello che cerco di trasmettere con le mie sculture. La più alta che ho realizzato fin’ora – 8 metri e 50 centimetri di scultura – si chiama indicativamente ‘Abbraccio cosmico’ e vuole simulare quello che sto dicendo. Credo che in questo senso Lecco e i suoi cittadini siano molto privilegiati…”

In che senso?

“Ovunque guardi a Lecco trovi la natura: l’uomo spesso se ne dimentica così come dimentica di far parte di un ciclo più grande di lui. La vita in una grande città può essere stimolante ma non concede il privilegio di tornare alla natura… io abito sotto il Medale, ogni mattino mi alzo e guardo quelle meravigliose montagne – che cosa sono se non le più belle sculture? – e non c’è volta che io non mi senta ispirato da questa visione, così come da quella del lago. Per questo parlo di privilegio e per questo ho deciso di rimanere a Lecco”.

 

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L’arista Pablo Atchugarry mentre lavora alla scultura in legno d’ulivo “La vita dopo la vita”

 

Quindi lei vive a San Giovanni ma ogni giorno viene fino a Sirone per lavorare.

“Già. All’inizio avevo un piccolo laboratorio a Valmadrera, poi mi son spostato a Lecco ma alla fine le opere sempre più grandi mi hanno costretto a cercare uno spazio maggiore e l’ho trovato qui. Di lavoro ce n’è sempre, in laboratorio mi capita di stare 12 ore e più. Ad aiutarmi ho un amico, marmista, che si occupa della finitura delle opere, ma tra qualche mese arriverà anche un ragazzo che ha appena concluso gli studi superiori e farà qui uno stage. Poi, quando non è impegnato ad allestire mostre in giro per il mondo, ho l’aiuto anche di uno dei miei due figli, Piero.”

Le opere di Pablo Atchugarry sono attualmente esposte a Roma nella mostra “Città eterna, eterni marmi”, patrocinata dall’Istituto Italo – Latino Americano, inaugurata lo scorso 22 maggio e visitabile fino al 7 febbraio 2016. Teatro dell’esposizione i suggestivi Mercati di Traiano e il Museo dei Fori Imperiali, dove hanno trovato spazio – non senza difficoltà come ci ha confessato l’artista uruguaiano – ben quaranta sculture realizzate in marmo di Carrara, marmo rosa del Portogallo, bronzo e acciaio.